S ignori, pietà. Fatelo per i vigili urbani, che hanno finito il toner della stampante prima ancora delle mascherine. Fatelo per gli agenti di polizia e per i carabinieri, che hanno intasato i mastelli della differenziata in questura, in commissariato, in caserma. Fatelo per i finanzieri e i forestali, che hanno finito le scorte formato A4 e non sanno più a quale cartiera votarsi.

S i ha bisogno dell'aiuto di un ragionamento non ideologico (pur se questa è un'utopia, anche in Attali) ma che sorvoli a giusta altezza gli avvenimenti attuali per ricollegarli, se possibile, in un flusso che abbia un senso. Soprattutto oggi, siamo trascinati in un vortice perché non vogliamo imparare da quelle che gli anglosassoni chiamano “best practices”, le migliori prassi, i più efficaci metodi, perché ci creiamo continui alibi e non ci chiariamo gli obiettivi, perché siamo ignoranti. Il mondo ci appare dunque una tremenda giostra in cui una voce vale l'altra, un gomitolo di confusione senza capo né coda. C'è bisogno di buttare l'ancora, di mettersi alla cappa.

Attali dichiara di scrivere il libro per evitare che il futuro assomigli a quello che lui teme sarà, e rilegge la storia accendendo il riflettore sul capitalismo, da cui estrae un concetto di Ordine Mercantile cha fa risalire al 1300 e alla città di Bruges. Questo “cuore” del capitalismo attraversa la storia ricostruendosi sempre attorno a un luogo, una cultura, a risorse finanziarie che permettono a una classe creativa di trasformare una rivoluzione tecnica in un mercato commerciale di massa. Indica nove passaggi storici, da Bruges infine a Los Angeles, sino all'esplosione demografica odierna, alla consapevolezza di penurie insormontabili, all'affanno tecnologico e alla decostruzione degli Stati. L'Ordine Mercantile, non più un cuore pulsante, diventa uno strumento di divisione tra un'élite di privilegiati (l'iperimpero) e una massa indifferenziata che galleggia o affonda sotto la soglia di povertà, “vulnerabile alle epidemie, alla penuria d'acqua, alla desertificazione e al riscaldamento climatico”.

La fine della libertà avverrà per Attali in nome della libertà, e già qui, allarmati dalla pandemia di coronavirus che ci circonda, dallo spopolamento e dalla rinuncia quotidiana a diritti basilari, iniziano ad accendersi lampadine intermittenti che diventano abbaglianti quando il libro ipotizza una collera dei popoli contro l'Ordine Mercantile. “La critica si sposterà sui mercati, giacché i fatti stabiliranno sempre più chiaramente che essi non sono in grado di eliminare la povertà, né la disoccupazione, né lo sfruttamento; che concentrano tutto il potere in poche mani, condannando alla precarietà maggioranze sempre più numerose; che concorrono a stravolgere il clima; che diventeranno una delle forme più perniciose e più assolute di dittatura”. E allora "sarà facile denunciare anche la democrazia come un'illusione, in cui i più ricchi concentrano nelle proprie mani il potere di informare, di distrarre, di sapere, di sorvegliare, di curare, di insegnare, di orientare”.

Attali ipotizza poi un iperconflitto (“la tragedia dell'uomo è che, quando può fare qualcosa, finisce sempre per farla”) da cui dovrebbe emergere finalmente la terza ondata del futuro, l'iperdemocrazia, un'unione d'intelligenze collettive capaci di risolvere i problemi del mondo. Con ciò, con questa rosea pagina finale e nuove iperistituzioni, il romanticismo europeo che tante illusioni e tante tragedie collettive ha portato, ancora una volta trionfa e mina tutto quanto di buono scritto in precedenza: l'happy end non attiene alla storia e alla scienza del futuro, seppur consoli le nostre serate cinematografiche.

Prescindendo da considerazioni morali, sociali o quant'altro, ho riportato solo un'altra visione che, peraltro, non contraddice l'iperconflitto ipotizzato da Attali. Vivremo tempi duri, molto difficili, non rinunciamo mai a leggere e usare la testa.

CIRIACO OFFEDDU
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