S empre più stringenti le misure adottate dal Governo per fronteggiare il coronavirus e sempre più frequenti gli inviti alla responsabilità, all'unità, al sacrificio. Il premier, parens patriae, parla al Paese con toni amorevoli e rassicuranti. Si sofferma sul senso della vita, delle relazioni umane, della solidarietà. Va quindi in scena la solita commedia dello Stato buono.

U no stato caritatevole, che abbraccia i sudditi, piange le vittime, esalta i servitori, i quali diventano inesorabilmente eroi. E così si consuma la litania del day after, del disastro avvenuto. Il momento di stringerci nel dolore e ripartire fiduciosi nel domani.

Ma il domani, questa volta, non è detto che sia migliore. L'emergenza non è finita, anzi, rischia di aggravarsi. Ed i nuovi comandamenti sono lì a dimostrarlo: non uscite, non riunitevi, non abbracciatevi.

Il messaggio è chiaro: non sappiamo combattere il virus, isoliamolo. E con lui chi lo ospita. Si realizza così una singolare coincidenza tra malanno e malato, ambedue colpiti dalla stessa sanzione. La terapia è dunque particolarmente indigesta, soprattutto per l'economia del Paese e per coloro che, non avendo lo stipendio a fine mese, non lo ricevono più. Obiettivo? Proteggere il sistema sanitario, ormai al collasso. Cioè proteggere chi dovrebbe proteggere noi. Anche qui, il gioco delle parti supera la fantasia di Pirandello.

Purtroppo però è tutto vero. Come per i poliziotti, per i pompieri, nelle stragi o nelle calamità, oggi tocca ai medici. Inevitabilmente, il sistema pubblico, impreparato e disorganizzato, espone i propri esercenti a rischi esorbitanti e quando questi soccombono, diventano eroi, da celebrare, commemorare, col participio passato.

Non è tempo di polemiche, dice la politica, serve unità. Così quel tempo non arriva mai. L'italiano, si sa, ha la memoria corta. E poi un nuovo disastro (ricordate il ponte Morandi?) farà dimenticare il precedente. Chiodo scaccia chiodo. E la litania prosegue. Anche alla politica giova la memoria corta. Rischierebbe di dover rispondere a troppe domande. Dov'era infatti quando, ad ogni tornata elettorale, ha promesso a migliaia di amministrativi di occupare gli ospedali, mentre medici ed infermieri si riducevano a vista d'occhio? Quando i giovani laureati, a causa del clientelismo e del nepotismo, migravano all'estero? Quando si costruivano ospedali in ogni quartiere per occupare persone (e riscuotere voti) più che per curare malati? Dov'era quando si tagliavano uomini e mezzi che oggi, in tutta fretta, vanno reperiti?

Ovvio che queste domande si fanno ancor più scomode nel Mezzogiorno. Qui quanti presidenti o assessori regionali hanno rinunciato a utilizzare il sistema sanitario a fini elettorali. Perché, quasi ovunque, si è calibrata l'offerta sanitaria addirittura al di sotto della domanda ordinaria rendendola così strutturalmente inadatta a fronteggiare le emergenze? Cosa accadrà se il virus si diffonde in Sardegna, una volta che il Governo avrà già speso tutto il possibile e concentrato uomini e mezzi al centro-nord?

Sì, domande scomode, che dovrebbero farsi specie in questa occasione, che inattesa non era. La Cina, a gennaio, ha messo in quarantena decine di milioni di persone. Perché la politica italiana (sino ad inizio febbraio) ci ha chiesto di andare tranquillamente a cena nei ristoranti cinesi? Perché non si è reso obbligatorio il mezzo di contrasto più semplice ed economico in assoluto contro il contagio: le mascherine, che ancora oggi neppure si trovano? Perchè lo Stato si è deciso solo ora ad ordinarle, dopo che anche Francia e Germania hanno vietato le esportazioni? Si era accorto il Ministro Bonafede che la distanza di sicurezza nelle carceri non esiste?

La politica non vuole ricordare ma c'era, c'è ancora e non è cambiata. E il Paese? Resta a casa.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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