S ono tempi di ferro e fuoco, ma non c'è l'Armageddon, non c'è nessuna battaglia finale tra il Bene e il Male. Siamo di fronte a un evento ciclico della storia naturale, l'ascesa e il declino (prima o poi ci sarà) di un virus. Oggi è il nuovo coronavirus, ieri era la peste, il colera, ebola e molti altri che sono stati protagonisti della cronaca antica e contemporanea.

Tra le cause del crollo dell'Impero Romano (leggere il libro “Il Destino di Roma”, di Kyle Harper) vi fu il cambiamento climatico (la piccola glaciazione) e la diffusione della peste, anche allora il virus partì dalla Cina, si diffuse in Medio Oriente e infine arrivò nel Mediterraneo divenendo pandemia.

Le civiltà dei Maya, degli Inca e degli Aztechi, non crollarono per la superiorità delle armate spagnole, il regno di Montezuma finì con i conquistadores, ma non per la superiorità delle armi, la “tecnologia avanzata” fu quella dei microbi importati dall'Europa. Il nuovo coronavirus fa parte di questa storia millenaria. La sua presenza è una questione di durata, di estensione, di intensità. Su questi tre punti, sappiamo ancora poco, dobbiamo studiare come si comporta il virus.

La durata innesca due domande. 1) Cosa accadrà in estate? Risposta: non lo sappiamo, nessuno può dire che con il caldo il virus sparirà. 2) Quando ci sarà un vaccino? Risposta: occorrono ancora molti mesi, forse un anno. L'estensione riguarda la sua velocità di trasmissione, il numero di persone infette presenti sul territorio, l'efficacia (o meno) delle misure di contenimento.

L 'intensità è il comportamento del virus all'interno del corpo umano, il quadro sanitario. Sappiamo che molti malati erano asintomatici e che solo in un secondo momento hanno sviluppato la febbre. Questo rende difficile il contrasto. Sappiamo anche che sono gli anziani con patologie già esistenti i soggetti più a rischio (l'età media dei morti in Italia è di 81 anni). E sappiamo che i bambini e i giovani sono i soggetti più protetti, i casi di contagio sono pochissimi.

Su quest'ultimo punto, i giovani, è aperto un dibattito nella comunità scientifica: la chiusura delle scuole è efficace? Secondo Marc Lipsitch, epidemiologo di Harvard, tra il 40 e il 70 per cento della popolazione mondiale sarà colpita dal coronavirus nel 2020, per quanto riguarda le scuole Lipsitch avvisa che «l'influenza è chiaramente veicolata in parte dalle scuole, ma non sappiamo cosa succede con i coronavirus e i bambini, specialmente con questo coronavirus». Il provvedimento del governo dunque potrebbe non avere alcuna efficacia.

Sul contenimento del virus a Palazzo Chigi procedono a tentativi, è comprensibile, ma siamo passati da un eccesso all'altro: dal «tutto è sotto controllo» (Giuseppe Conte, 31 gennaio), all'emergenza totale di oggi dove ben poco appare sotto controllo. Il dibattito pubblico a sua volta è polarizzato tra Catastrofisti e Negazionisti, il risultato è che l'epidemia si espande e l'economia corre verso la recessione. Serve equilibrio, non si può chiudere il Paese e non si possono avere comportamenti irresponsabili. Nella crisi del coronavirus è mancato il sangue freddo. Manca la lucidità anche sulle misure d'emergenza economica: le imprese e le famiglie se la crisi va avanti si troveranno di fronte a un problema di cassa, liquidità e sentiamo parlare molto (troppo) di appalti e grandi opere che invece dovrebbero far parte non della crisi del coronavirus, ma di un piano di rilancio economico, le Grandi Opere non sono l'emergenza, ma la programmazione. C'è una bella differenza e si traduce in due parole: velocità ed efficacia.

Il coronavirus non sarà né la fine del mondo né il collasso dell'Italia, ce la faremo. Se non perdiamo la testa.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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