È ormai trascorso quasi un mese dalla notizia dei primi contagi da coronavirus in Italia; e più di due da quelli cinesi. Quanto basta per trarre qualche insegnamento, anzitutto sulla globalizzazione.

L'imponente, inedita circolazione, a livello globale di persone e merci sta generando un effetto “vasi comunicanti” di dimensioni inaspettate. Non vengono condivise solo la conoscenza, l'informazione attraverso il web. La globalizzazione è fisica e mette in relazione tra loro realtà estremamente diverse, a tratti inconciliabili.

S e non opportunamente controllata, dosata, gestita, questa globalizzazione rischia di generare sconquassi, pregiudizi, discriminazioni. Praticare travasi tra realtà omogenee, o quantomeno simili, sarebbe facile. Diverso immaginare vasi comunicanti tra l'Italia, ove l'aspettativa di vita media è 82 anni, e lo Swaziland, dove si vive in media 39 anni. Tra civiltà con e senza Stato, laiche e confessionali, libertarie e dispotiche, con o senza guerre, includendo i conflitti tribali che “guerra” non sono. Il tema sanitario non è che una delle insidie globali, assieme agli attacchi terroristici, informatici, migrazioni di massa, dumping economico e sociale, cambiamenti climatici e, appunto, pandemie planetarie. Aggiungerei anche, come sottospecie di quest'ultima, l'informazione virale: fenomeno questo ad oggi trascurato. Eppure, lo sappiamo, la manipolazione delle menti, le illusioni, possono essere risolutive. Ricordate Jasper Maskelyne, il leader degli illusionisti arruolati dai Servizi segreti britannici nella seconda guerra mondiale? Riuscì a far “sparire” il porto di Alessandria d'Egitto per sottrarlo ai bombardamenti tedeschi. Questo ottant'anni fa; immaginate oggi. L'epidemia del coronavirus è infatti duplice: fisica e mediatica; la seconda più dannosa della prima, atteso che le conseguenze socio-economiche prodotte ad oggi eccedono largamente quelle sanitarie.

Ma il coronavirus ci insegna anche altro: che in un mondo globalizzato sono necessari livelli di governo più ampi dei singoli Stati e una Unione europea degna del nome. Invece i collegamenti con la Cina interrotti a macchia d'olio e la grande mobilità, viaria e ferroviaria, europea hanno alimentato, non arginato il contagio. L'assenza di coordinamento tra gli Stati membri ha inoltre determinato scelte arbitrarie e mortificanti, come quella di approntare restrizioni alla mobilità degli italiani.

Qualche anno fa, la Commissione europea ha adottato un “Documento di riflessione sulla gestione della globalizzazione”. Si parlava di migrazioni, lavoro, economia; solo accennato il tema dei rischi sanitari. Sarebbe il caso che la Commissione ne adottasse uno nuovo post-coronavirus. E che ci decidessimo a coordinare le politiche europee sul punto. Anche per evitare che gli inglesi continuino ad usare Maskelyne per nascondere che a Londra (ma anche a Berlino e Parigi) di contagiati ve ne sono ben più che in Italia. Non a caso lì i tamponi non li fanno.

Infine qualcuno dica ai nostri governanti di mettersi almeno d'accordo tra loro. La notizia che anche adesso la politica si metta a litigare finendo davanti alla Corte costituzionale (per il caso Marche) è davvero patetica. Altrettanto sconcertante che debba essere la Procura di Lodi a dirci come hanno operato i nostri ospedali. Ma anche questo è un film già visto: i disastri stradali, ferroviari, climatici, finiscono tutti così. A conferma del nostro triste primato di affidare ogni decisione rilevante sul futuro del Paese alla magistratura.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
© Riproduzione riservata