S ta ormai per compiersi il lungo iter della riforma Fraccaro sul taglio dei parlamentari, con il referendum confermativo fissato per il 29 marzo. I sondaggi annunciano, netta, la vittoria del sì. Sembra dunque andare a segno l'ottavo tentativo di riforma del Parlamento consumatosi negli ultimi trent'anni.

Era infatti il 1983 quando la Commissione Bozzi provò a dimezzare il numero dei parlamentari, estendendo il novero dei senatori a vita agli ex Presidenti delle Camere ed ex Presidenti della Corte costituzionale.

C i provarono poi De Mita e Nilde Iotti, nella XI legislatura. Anche Massimo D'Alema, nel 1997, cercò di portare il numero di deputati tra 400 e 500 e dei senatori a 200, da integrare con altri 200 rappresentati di regioni ed enti locali. Si provò dunque con la “devolution”, poi fu la volta della bozza Violante, approvata in commissione affari costituzionali della Camera nel 2007, con il placet di Walter Veltroni e Silvio Berlusconi, che andò a ramengo per lo scadere della legislatura. Infine, la ricordiamo bene, la (ben più ampia) riforma Renzi-Boschi, bocciata nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

Tutti questi falliti tentativi poggiavano su argomentazioni in parte coincidenti, in parte diverse ma tutte tese a riformare il meccanismo legislativo per renderlo più rapido ed efficace. In nessuno dei predetti casi venne invece adottata la motivazione che sostiene l'attuale riforma: cioè che la rappresentanza parlamentare sia sostanzialmente inutile e costosa, essendo i parlamentari un ceto notoriamente privilegiato.

In ciò, dunque, si differenzia l'attuale tentativo di riforma in salsa pentastellata. La ratio è univoca: lotta alla casta, agli sprechi, ai privilegi. Del resto, diceva Schopenhauer, la realtà, in sé, non esiste; esistono volontà e rappresentazione. I grillini vedono i parlamentari come un fardello inutile, tanto da volerli sostituire con la democrazia diretta. La vittoria del movimento 5 stelle ha dunque prodotto un evento inedito nella storia repubblicana. Gli scettici verso l'istituzione parlamentare sono diventati essi stessi parlamentari ed hanno quindi portato la sfiducia dentro l'istituzione, la quale, oggi, non crede più in se stessa, tanto da volersi annichilire.

Si spiega dunque così la rivoluzione grillina, come un vero e proprio esercizio di introspezione: siamo inutili e dunque occorre rimuoverci. Una implosione aggravata dall'effettivo grado di inesperienza e inconcludenza propagandistica che il populismo invariabilmente porta con sé.

Resta solo da chiedersi come reagiranno gli italiani a questa ennesima proposta, non basata sull'efficientamento del Parlamento ma su una sostanziale amputazione della rappresentanza parlamentare, percepita come inutile e dannosa. Della serie: le mie mani tremano, tanto vale amputarle. Si avvedano, gli italiani, anche dell'ulteriore paradossale esito di questo taglio: i parlamentari non “amputati” conserveranno, integro, il loro status, i loro emolumenti, i loro privilegi. Verrà infatti ridotto solo il loro numero, così rendendo questa “casta” un circolo ancor più ristretto ed esclusivo. Saranno quindi molti meno, molto più ricercati, molto più potenti. E la loro influenza clientelare aumenterà a dismisura. La cura non arginerà il male ma lo moltiplicherà, con buona pace del giacobinismo grillino.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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