S econdo le previsioni Onu, la popolazione mondiale dovrebbe aumentare del 18,5% nei prossimi 20 anni e del 38,2% nei prossimi 60, passando dagli attuali 7,713 miliardi di abitanti a 9,139 miliardi nel 2039 e a 10,656 miliardi nel 2079.

La scomposizione della crescita per continenti è ancora più impressionante, perché la maggior parte dell'incremento demografico si concentra nel continente africano, la cui popolazione passerà da 1,308 miliardi di oggi a 2,036 miliardi nel 2039 e a 3,645 miliardi nel 2079, con incrementi rispettivamente del 55,7% nei prossimi 20 anni e del 178,7% nei prossimi 60. Oltre al continente africano, solo in Oceania si registrano tassi di crescita superiori alla media mondiale, pari al 24,2% nei prossimi 20 anni e al 62,9% nei prossimi 60. Tuttavia, in questo caso riguardano una popolazione contenuta in valori assoluti, che passerebbe dagli attuali 42 milioni a 52 nel 2039 e a 68,6 nel 2079.

Nel resto del mondo, ad eccezione dell'Europa, i tassi di crescita demografica sono positivi, ma molto più contenuti rispetto all'Africa e all'Oceania: nei prossimi 20 e 60 anni la popolazione crescerà, rispettivamente, del 12,4 e del 10,5% in Asia (dagli attuali 4,6 miliardi a 5,2 nel 2039 e a 5 nel 2079); del 14,1 e del 14,3% in America latina (dagli attuali 648 milioni a 739 nel 2039 e a 741 nel 2079) e dell'11,4 e del 27,2% nel Nord America (dagli attuali 367 milioni a 408 nel 2039 e a 466 nel 2079). L'unico continente in controtendenza è l'Europa.

N el vecchio continente, escludendo Russia e Turchia, la popolazione è destinata a diminuire del 2,4% nei prossimi 20 anni e del 12,9% nei prossimi 60, passando dai 747 milioni attuali a 729 nel 2039 e a 651 milioni nel 2079. Pertanto, nei prossimi anni, mentre si può parlare di una vera e propria bomba demografica con riguardo al continente africano e di una crescita contenuta per altri quattro continenti (Asia, due Americhe e Oceania), con riguardo all'Europa ci sarà un vero e proprio declino della popolazione, che avrà serie implicazioni negative su vari aspetti dei nostri modelli di vita.

All'interno dell'Europa, poi, l'Italia sembra essere uno dei Paesi più esposto al declino demografico: dagli attuali 60,4 milioni di abitanti si passerà a 59,4 tra vent'anni (-1,8%) e a 55,4 tra 60 anni (-8,2%). Peraltro, anche la Sardegna non fa eccezione: dal 2010 al 2018 la popolazione residente dell'Isola si è ridotta del 2,14%, passando da 1.675.411 abitanti a 1.639.591, con tendenza verso l'ulteriore diminuzione. La prima considerazione che viene in mente nel commentare questa dinamica demografica riguarda l'emigrazione africana verso l'Europa, che è destinata ad aumentare nei prossimi anni con una pressione crescente, che potrebbe diventare incontenibile. Questo è un motivo più che sufficiente perché il flusso migratorio africano trovi finalmente una regolamentazione a livello europeo, che discrimini nettamente tra un canale legale e quello illegale. Il primo dovrebbe regolamentare i flussi programmati in entrata sulla base di accordi tra l'Unione europea e i Paesi africani di provenienza, che rispettino i requisiti minimi d'ingresso nei vari Paesi europei disponibili all'accoglienza e che possa legittimare la chiusura definitiva del canale illegale sinora gestito dagli scafisti, i moderni negrieri del Mediterraneo.

Sul piano interno del nostro Paese, che dopo il Giappone è il più “anziano” tra i Paesi Ocse, la crisi demografica provoca uno squilibrio tra generazioni, la cui prima evidenza è costituita dalla diminuzione della popolazione scolastica di 188 mila unità dal 2015 ad oggi. L'impatto maggiore tuttavia ricadrà sul sistema previdenziale. Già oggi il rapporto tra lavoratori e pensionati in Italia è di 3 a 2; si stima che nel 2050 esso sarà di 1 a 1, con ricadute significative sul sistema pensionistico che, essendo un sistema a ripartizione, dove le pensioni da pagare ogni anno sono finanziate dai contributi dei lavoratori attivi lo stesso anno, tende a diventare insostenibile nel lungo periodo.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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