Cagliari, 1994.

Ci troviamo nella caserma Ederle di Calamosca, dove una ciurmaglia di diciottenni è pronta ad affrontare l'adulta prova della visita militare.

A quei tempi si trattava di una cosa seria, che poteva cambiare il corso dell'esistenza.

Se trovati abili, infatti, i ragazzi avrebbero dovuto prestare per quasi un anno quel servizio di leva obbligatorio che - istituito ben oltre un secolo prima - sarebbe rimasto in vigore fino al 2005.

«Un anno perso», pensa un liceale nel camerone in cui tutti sono stati ammucchiati con indosso la sola biancheria intima, ad eccezione di un tipo strano che aveva dovuto tenere i jeans perché le mutande, lui, non le portava.

«Un anno perso», continua a pensare in mezzo a tutte quelle persone sconosciute: ma nate nella sua stessa città e, per lo più, il medesimo giorno in cui lui era venuto al mondo.

Noia. Fino a che, in gruppi di tre, i giovani vengono mandati dietro a un paravento per raccogliere il necessario campione di urine.

«Psst! Hey tu…».

Davanti al vespasiano il liceale si volta e vede, accanto a sé, un tipetto biondo pieno di lentiggini, che, con speranza, gli porge il suo contenitore in plastica.

«Puoi pisciare anche per me»?

«E perché mai dovrei farlo»?

«Mi faccio le canne. Dall'esame si vedrebbe: e la carriera militare che sogno sarebbe stroncata sul nascere».

«Ma se ci scoprono»?, risponde il liceale bisbigliando.

«Chi vuoi che ci veda qui dietro! Avanti, movirindi. Non farla lunga»!

Fino a che la voce di un carabiniere spazientito tuona: «Allora voi tre, lì dietro, volete sbrigarvi»?

Un istante dopo l'agitazione interrompe il fiotto d'urina del liceale. Non esce più niente: nemmeno una goccia.

Il corpo saggiamente impedisce ciò che la mente - per compassione - avrebbe pure accettato di fare.
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