E nrico Berlinguer scelse Mosca, il 3 novembre 1977, a sessant'anni dalla Rivoluzione d'Ottobre, per dire - davanti al compagno Breznev e allo stato maggiore del Pcus - che il Partito comunista italiano «è impegnato da trent'anni per la salvaguardia e lo sviluppo più ampio della democrazia». Di più. Il Pci, con l'obiettivo di una società nuova, «cerca costantemente l'intesa con altre forze di ispirazione socialista e cristiana, in Italia e in Europa occidentale». Un pensiero che la sintesi giornalistica indicava con due parole: compromesso storico. Nella ricorrenza dei cento anni del Partito comunista italiano, che Antonio Gramsci contribuì a fondare, quel discorso di Berlinguer, che tanto imbarazzò i nipoti di Stalin e Lenin (era il 1977, l'anno dopo venne ucciso Moro), può aiutarci a capire come sia necessario adattare le proprie idee alla società che cambia. Diciamo che l'attuale classe politica ha esempi nobili.

Il 15 gennaio 2019 Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista raggiunsero in auto, insieme, la sede del Parlamento europeo a Strasburgo, profetizzando sui social uno tsunami politico pari a quello provocato nel marzo 2018 dalle elezioni politiche in Italia. Tsunami che finì per portare Giuseppe Conte a Palazzo Chigi con il sostegno del padre nobile Beppe Grillo e del sovranista Matteo Salvini. Il M5S e l'Europa avevano in comune giusto qualche stella nella bandiera. Quel giorno di gennaio non c'era il Covid-19, la priorità dei grillini era evitare gli sprechi («se c'è la sede a Bruxelles - dissero Di Maio e Di Battista - chiudiamo Strasburgo»).

P oi ha prevalso la realpolitik e Grillo è diventato determinante (con 14 voti) nell'elezione del presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Non è dato sapere se, dopo il viaggio di ritorno dalla Francia, Di Maio e Di Battista si siano spostati altre volte insieme in auto. O in scooter. Di sicuro riflessioni e travagli, nell'ex partito del Vaffa, hanno avuto vita breve. E persino Dibba, il dirigente forse più legato ai principi ispiratori del Movimento, nel dire «mai più con Renzi», oggi aspira a un posto al sole. Una bella sintesi è arrivata l'altro giorno dalla senatrice sarda Elvira Evangelista nel rispondere sull'Unione a Vito Fiori: «Il Movimento è cresciuto in questi anni, c'è maggiore ragionevolezza e più pragmatismo». Parole sagge. Ma in politica è sempre corretto ricordare da dove si è partiti per capire dove si potrà arrivare (ammesso che si abbia una meta), tanto più se si parla del partito di maggioranza relativa. L'Europa (sì, quella di Ursula) ci guarda, anche perché ci ha dato - sulla parola - un sacco di soldi per provare a ripartire. I nipoti Dem di Berlinguer (anche se molti sono democristiani, il compromesso è storia da un pezzo) provano a reggere il gioco. Ma la conta da cortile, che Mattarella non potrà tollerare oltre mercoledì, immaginiamo stia dando il voltastomaco persino a Zingaretti. Conte, sopravvissuto alla grande a Salvini, ha per ora tenuto botta a Renzi grazie a qualche grillino di ritorno. A qualche azzurro forse trascurato da Berlusconi. Al Loden di Monti. Ma se proprio la colla vuole essere la lotta alla pandemia, all'Italia serve altro. Magari un passo indietro dell'avvocato del popolo per cercare un'alleanza più stabile e più solida. Con Giuseppe Conte. Ma anche senza. In fondo, il “tecnico” pugliese ha già dimostrato due volte come si possa trovare una maggioranza parlamentare, cambiando i cavalli in corsa. Stavolta cambierà il fantino? Serve questo all'Italia? No, forse servirebbe ridare la parola al popolo sovrano, ma il Covid-19 e soprattutto il fatto che 345 parlamentari (oggi sono 915, più i preziosi senatori a vita) rimarrebbero a casa, tengono lontano un voto anticipato di due anni. Sarà governo istituzionale? Chiusa da Davide Casaleggio e associati la piattaforma Rousseau per le mancate contribuzioni dei parlamentari di riferimento, Grillo potrà decidere senza avere nemmeno l'imbarazzo di consultare la base. Nei giorni scorsi i comunisti (qualcuno sarà pure rimasto) e l'Italia tutta hanno salutato il compagno Emanuele Macaluso. In un'intervista con il nostro Massimiliano Rais confessava che a 96 anni è difficile guardare lontano. «I miei sogni sono corti. Il sogno sarebbe quello di chiudere gli occhi con una società e una classe politica migliore di quella che vedo ora». Era luglio. Chissà cosa avrà pensato prima di salutarci per sempre, lunedì, alla vigilia del centenario del suo Pci.

EMANUELE DESSÌ
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