"Cara Unione,

mentre la magistratura sarda apre fascicoli a difesa della sicurezza del personale sanitario e si occupa dell’aumento dei contagi negli ospedali, adiuvata dai Carabinieri incaricati di cercare 'untori' ed eventuali 'complici', e mentre le altre istituzioni intervengono per dettare misure restrittive per scongiurare la diffusione dell’epidemia, mette conto di considerare il contesto in cui si svolgono queste azioni nella nostra regione.

La cui estensione territoriale e la sua caratteristica insularità con una bassa densità di popolazione potrebbero darci una certa difesa, sempre che si adottino anche le precauzioni consigliate e/o imposte.

Purtroppo la metà del totale complessivo dei contagiati fino a ieri risulta avere contratto la malattia in ambito ospedaliero.

Vivo dalla nascita nell'hinterland di Cagliari, città dove per circa 40 anni ho svolto l'attività di chirurgo in una Chirurgia d’Urgenza, prima al Brotzu, poi al Marino. Conosco per questo quel mondo che nella vecchia provincia di Cagliari ha garantito fino a poco tempo fa una sanità di un certo valore. Con le sue eccellenze universitarie e ospedaliere.

IL PASSATO - La città di Cagliari e il suo hinterland fruivano di strutture ospedaliere distribuite strategicamente nel cuore della città (Ospedale Civile, Clinica Medica, S.S. Trinità, Binaghi, Varie Case di Cura Private) e nella sua periferia (Marino e poi Oncologico e Brotzu). Con seri problemi strutturali e logistici negli ultimi anni per alcuni presidi affidati evidentemente all’incuria di chi avrebbe dovuto provvedere a salvaguardarne l’alta funzione sociale. Avvilendo le professionalità formatesi negli anni e bene amalgamate per offrire servizi adeguati e naturalmente gli utenti.

LA RIFORMA - La riforma della rete ospedaliera con la insulsa soppressione di alcuni presidi , che avrebbe dovuto casomai seguire e non precedere la riforma della medicina territoriale, ci sta facendo pagare un prezzo troppo alto di disorganizzazione, che l’attuale epidemia in corso magnifica.

Il problema più grave ora è garantire una assistenza ospedaliera adeguata a tutti, non solo a chi ha problemi legati alla polmonite virale. Mi riferisco evidentemente alla maggiore parte dei cittadini che continuano a patire per le altre patologie. E questo in considerazione del fatto che l’assistenza territoriale è affidata al contatto telefonico col medico di base e che gli ambulatori sono chiusi e che non esiste una organizzazione capillare e strutturata di un servizio che ora, se funzionante, sarebbe preziosissimo.

Vorrei soffermarmi su questi ospedali di Cagliari per ragionare sulla funzione loro attribuita alla luce di questa epidemia.

GLI OSPEDALI - Nel centro città c’è a Cagliari il S.S. Trinità, un ospedale multispecialistico, con una decina di reparti dotati di sala operatoria è stato classificato Covid, nel senso che deve ricevere le patologie respiratorie legate al corona virus. Questo fatto ha comportato la riduzione delle attività specialistiche diverse da quelle respiratorie virali, con nocumento e sottrazione di risorse umane e logistiche ad attività rivolte a utenti affetti appunto da altre patologie. E le altre patologie esistono ancora! Il S.S. Trinità era una vecchia caserma, dove ci sono padiglioni separati in orizzontale, dove per fare le radiografie il paziente viene caricato su un ambulanza per essere trasferito dalla degenza all’apparecchio di radiologia. E non ci va da solo, evidentemente. Comunque il S.S. Trinità ha ridotto le sue attività per trattare i Covid, che per fortuna non arrivano a frotte, ma hanno anche bisogno di studio radiografico.

Alla periferia di Cagliari c’è l’Ospedale Marino. In questo presidio per esempio la chirurgia generale di elezione è chiusa, anche quella d’urgenza. Gli ambulatori anche. Il personale rischia di essere pagato per nulla o per poco. In uno spreco formidabile di professionalità e risorse material. In un tempo in cui non si utilizzano medici formati e ci si affida per necessità all’entusiasmo di giovani laureati implumi. E le patologie diverse da quelle respiratorie esistono ancora!

Non si capisce perché un Ospedale come il Binaghi, ai piedi di Monte Urpinu, relativamente isolato, non sia stato individuato per ospitare proprio i pazienti Covid, anche considerando la specializzazione storica in campo pneumologico e l’adeguatezza dei suoi locali, recentemente ristrutturati.

Non si capisce in alternativa perché sia stato deciso di far funzionare male l’Ospedale Marino, giustificando una certa inagibilità - colpevole – strutturale e non si sia pensato di fare almeno di due ospedali uno, il Binaghi, che ora è praticamente chiuso.

Mentre a Cagliari anche il Brotzu soffre e a Monserrato il Policlinico. Con gli utenti, diversi dai Covid, a rischio di abbandono totale, figli di un dio minore.

L'EPIDEMIA - L’epidemia aggrava la situazione di un sistema male organizzato e non preparato ad affrontarla, non solo per la eventuale insufficienza di apparecchi respiratori (speriamo che bastino quelli che ci sono), ma anche per decisioni di politica sanitaria che la precedono e che avrebbe necessitato di una rivoluzione copernicana, che non può essere individuata nel numero delle aziende sanitarie, ma nella produzione dei servizi offerti. Dentro le strutture ospedaliere, ma anche fuori!

Insomma la nostra organizzazione sanitaria attuale, se l’epidemia non dovesse essere controllata con le misure attivate, necessiterebbe di essere totalmente ripensata a favore di una scelta di civiltà che non penalizzi – in un senso e nell’altro (finora si è parlato più di malasanità che di sanità) – gli operatori sanitari, sempre in prima linea, virus o non virus costringendo.

Dovremmo fare di necessità virtù. Cambiare registro: tornare a onorare il medico e chi con lui collabora nell’interesse di tutti".

Aldo Lobina

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