"Gentile redazione,

come lettore dell'Unione Sarda ho notato che più volte codesto organo di stampa ha ospitato interventi sui temi della giustizia.

Nella mia ormai più che trentennale esperienza quale operatore della giustizia (poco meno di trent'anni quale pubblico ministero) mi sono ovviamente fatto un'idea delle possibili cause delle lentezze e delle inefficienze del sistema giudiziario penale, che tutti (a parole) criticano ma rispetto alle quali sono mancati interventi decisivi ed efficaci.

L'argomento d'attualità è quello della prescrizione, che – in base al disegno di legge governativo – verrebbe sospesa sine die dopo la pronuncia della sentenza di primo grado. Questa soluzione ha trovato fortemente critica l'avvocatura ma, in misura più moderata, anche parte della magistratura (tra cui il noto magistrato Cantone).

LA LENTEZZA - Senza scendere nei tecnicismi, l'argomento portato dai detrattori è che un processo 'senza fine' sarebbe incivile e che lo Stato è tenuto ad apprestare i mezzi affinché i processi si svolgano rapidamente, non 'inchiodando' il cittadino imputato a una sorta di infinita persecuzione giudiziaria.

Sull'altro versante, si afferma che la riforma è indispensabile per assicurare la tutela delle vittime dei reati, frustrate da sentenze di prescrizione, come ad esempio nel caso della cosiddetta 'strage di Viareggio'.

Il motivo del mio intervento non è quello di sostenere o confutare gli opposti pareri sullo specifico tema. Mi stupisce, però, che magistratura, avvocatura e politica abbiano completamente trascurato quella che era la originaria 'sfida' del codice di procedura penale - noto anche come 'codice Vassalli' dal nome del ministro della giustizia che ebbe a firmarlo - entrato in vigore nel 1989, con l'intento introdurre nel nostro sistema giuridico il processo penale accusatorio o 'all'americana'.

La sfida – si diceva allora – era quella di definire l'ottanta per cento dei processi con i 'riti alternativi' (decreto penale di condanna, applicazione pena su richiesta o 'patteggiamento', processo abbreviato), analogamente a ciò che avviene negli USA, riservando al dibattimento vero e proprio (quello che si svolge in pubblica udienza e che vede sfilare i testimoni, interrogati direttamente dalle parti) a un numero limitato di procedimenti (non oltre il venti per cento).

LE DIFFICOLTA' - Questa sfida è stata manifestamente perduta sin dalle prime battute, tanto che il proliferare di interminabili dibattimenti (la cui durata è stata moltiplicata per almeno cinque volte a causa della necessità di acquisire la deposizione orale di tutti i testimoni, al contrario di quanto avveniva con il precedente rito, che ammetteva la lettura dei verbali assunti nelle indagini) ha comportato negli anni la necessità di arruolare magistrati onorari, con funzioni sia requirenti che giudicanti, in numero pressappoco corrispondente a quello dei magistrati professionali.

Questa nuova categoria di magistrati non professionali (composta in massima parte da avvocati, parte dei quali continua ad esercitare la libera attività professionale in sedi diverse da quella in cui svolge funzioni di magistrato) è priva del riconoscimento dei più elementari diritti connessi al rapporto di lavoro (ferie, malattia, astensione per maternità, contributi previdenziali), nel senso che viene retribuita solo per l'effettiva prestazione di lavoro (una sorta di cottimo) e che deve sostenere con le proprie modeste entrate il versamento di contributi previdenziali e/o di assicurazione per malattia. Addirittura, i magistrati onorari non possono neppure fruire del modesto sussidio costituito dai buoni-pasto, qualora la loro permanenza sul luogo di lavoro si protragga oltre le sei ore (diritto riconosciuto invece a tutti gli appartenenti all'amministrazione giudiziaria).

L'effetto è che lo svolgimento della maggior parte dei processi per fatti, che – forse, ingiustamente – vengono definiti 'bagatellari' (come, piccoli furti, appropriazioni indebite, truffe) ma anche per reati di maggiore peso (come spaccio di stupefacenti, estorsione, rapina), se di competenza del giudice monocratico, finiscono per essere trattati da magistrati sottopagati e precari (la loro permanenza in servizio, in passato, veniva prorogata di anno in anno), verificandosi non di rado che, nello stesso processo, sia l'organo giudicante che quello requirente siano fisicamente impersonati da magistrati 'non professionali'.

Vero è che nel 2017 è stata riformata la magistratura onoraria, con una legge che, però, ha suscitato le legittime proteste della categoria e di parte della magistratura professionale (preoccupata, come il procuratore di Torino, Armando Spataro, che, a regime, la riforma porterà alla paralisi dei dibattimenti).

Tornando al tema, che ha dato spunto a questo intervento, il problema della prescrizione deve essere collocato all'interno di un rito processuale, che, fatto cento il numero dei procedimenti per i quali il pubblico ministero esercita l'azione penale, era stato calibrato per gestire circa il venti per cento dei dibattimenti. Al contrario, nella prassi, una quota pari, più o meno, al venti per cento è quella che viene definita con i riti alternativi mentre il restante ottanta per cento finisce ad intasare il dibattimento, rendendolo spesso ingestibile.

La gestione di questa enorme mole di dibattimenti è affidata a un apparato di uomini (magistrati professionali e onorari, cancellieri) e di mezzi materiali sicuramente insufficienti; tuttavia, anche moltiplicando per due o per tre le risorse esistenti e dotando gli uffici degli ultimi ritrovati tecnologici (ipotesi sostanzialmente fantascientifiche), difficilmente si potrebbe ottenere la definizione nei ristretti termini prescrizionali (cinque anni per le contravvenzioni, sette anni e mezzo per i delitti puniti con pene uguali o inferiori a sei anni, che sono la maggior parte) di tre gradi di giudizio.

L'effetto di tutto questo è anche una sorta di giustizia 'di classe', 'forte con i deboli e debole con i forti', perché, esclusi coloro che, percependo un reddito annuo inferiore a tredicimila euro lordi circa, possono fruire del gratuito patrocinio, tutti gli altri devono farsi carico delle onerose spese di giudizio. La prescrizione, dunque, premia gli imputati abbienti, mentre quelli di reddito medio-basso finiscono per rinunciare ai mezzi d'impugnazione, non potendosene permettere i costi, con conseguente passaggio in giudicato della pronuncia di condanna inflitta in primo grado.

I RIMEDI - Se questa è l'analisi (sommaria, ma reale) dell'attuale stato del sistema giudiziario penale italiano, quali possono essere i rimedi?

A mio parere, occorre prendere atto del fatto che il nostro ordinamento – a differenza di quelli della maggior parte degli Stati occidentali, tra cui Francia, Germania, Regno Unito, USA – prevede, a livello costituzionale, l'obbligatorietà dell'azione penale. Questo significa che il pubblico ministero è tenuto a procedere anche quando è consapevole dell'impossibilità o della scarsa probabilità di poter giungere a una sentenza di condanna esecutiva, sia per l'imminenza della prescrizione sia per l'insufficienza di mezzi di prova (l'archiviazione, in quest'ultimo caso, non è sempre possibile, anche a causa delle frequenti opposizioni da parte delle persone offese).

L'incentivo dei riti alternativi (cinquanta per cento di sconto sulla pena irrogata in caso di decreto penale, un terzo negli altri casi), se soddisfa le aspettative dell'imputato quando la pena concretamente attesa è molto elevata, risulta del tutto insufficiente nel caso di reati le cui pene concretamente irrogabili rimangono prevedibilmente al di sotto del limite della sospensione condizionale della pena (due anni di reclusione o di arresto).

L'imputato quindi, consapevole del fatto che in nessun caso farà ingresso in carcere, accetta il rischio del processo, potendo avvantaggiarsi, nel caso più favorevole, della prescrizione o, nel caso opposto, della sospensione condizionale (per non parlare degli altri benefici, come quello della sostituzione della pena detentiva con la multa o l'ammenda).

Si dovrebbe pensare a una soluzione che renda conveniente il rito alternativo, indipendentemente dalla pena irrogata, per esempio prevedendo l’immediata estinzione del reato, effetto spesso desiderato per non incorrere in effetti deteriori nella sfera extrapenale (per esempio, per non vedersi revocare il porto d'armi o la patente di guida, o per non essere esclusi da concorsi pubblici, da arruolamenti nelle forze armate).

Occorre, ovviamente, molta cautela nell'individuazione dei reati a cui applicare un regime così favorevole, che dovrebbe essere riservato a quelli che, in concreto, presentano un modesto allarme sociale.

Un'altra riforma 'a costo zero' potrebbe essere quella – più volte proposta – di prevedere il processo abbreviato (che si svolge allo stato degli atti, senza dibattimento) in modo automatico per tutti i processi (o per quelli per reati minori), lasciando all'iniziativa dell'imputato la richiesta del dibattimento. In questo modo, si otterrebbe anche il vantaggio generalizzato dello sconto di pena per la estesa platea di imputati che 'disertano' il processo e che non sono assistiti da difensore di fiducia.

L'intervento sulla prescrizione, seppure apprezzabile per certi versi, a mio parere, non appare risolutivo, soprattutto con riguardo ai tanti che, per mancanza di mezzi economici o per mera trascuratezza, rinunciano alla loro difesa, mentre gli imputati abbienti potranno continuare ad esplicare attività dilatorie per cercare di far maturare la prescrizione in primo grado.

In conclusione, occorrerebbe aprire un dibattito leale e costruttivo tra avvocatura, magistratura e forze politiche, per giungere a soluzioni condivise, che permettano di accrescere l’efficienza del processo senza pregiudicare i diritti delle parti, attuando così, concretamente, il principio costituzionale della 'ragionevole durata' del processo.

Grazie dell'attenzione".

Biagio Mazzeo - Procuratore della Repubblica di Lanusei

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