"Gentile redazione,

scrivo per segnalarvi la drammatica situazione in cui mi trovo a vivere e che è relativa a mio figlio, disabile grave perché colpito da una patologia genetica rara che mi ha già portato via, dieci anni fa, un altro ragazzo.

Lui, oggi 26enne, ha sempre usufruito della 162 fino alla fine di aprile di quest'anno .

Da maggio, e dopo aver inoltrato la nuova domanda, mi sono vista dimezzare il contributo: da 1080 a 500 euro al mese.

Tradotto, ciò significa che in termini di assistenza che riesco a coprire con questo importo sono passata da cinque a due ore al giorno.

Dopo aver chiesto spiegazioni alle autorità e istituzioni competenti, mi è stato risposto che le motivazioni del taglio sono da ricercare nel fatto che mio figlio frequenta per qualche ora al giorno un centro Aias, cui mi sono appoggiata per la fisioterapia.

Ho provato anche a fare domanda all'Asl per avere due ore al giorno di assistenza a casa, ma la risposta è stata che poiché mio figlio non è 'allettato' né tracheotomizzato, cosa che io voglio scongiurare seppur lui si trovi in condizioni gravissime, non ne ho alcun diritto.

Eppure lui è totalmente dipendente da me. Non parla, non cammina, ha crisi epilettiche tutti i giorni, io da sola con quelle due ore non ce la faccio, e penso che questa disposizione sia figlia di una burocrazia cieca e ingiusta, che non va in alcun modo incontro a chi fa di tutto per garantire al malato le migliori condizioni di vita possibile. Per avere una maggiore assistenza dovrei condannare mio figlio a vivere in un letto dalla mattina alla sera?

Le cinque ore di cui usufruivo prima le dividevo tra mattina e sera, con un'assistenza che era un aiuto per lavarlo, portarlo alle visite di controllo, dargli da mangiare. Ho anche altri due figli piccoli da accudire e mio marito è un allevatore, cosa che lo costringe, per portare a casa uno stipendio che ci consenta di andare avanti, a stare a lungo fuori casa.

Mi chiedo perché le istituzioni, in situazioni delicate come questa, prima di tagliare i fondi non analizzino i casi a fondo, aiutandoci semmai a capire come comportarci: frequentare un centro Aias mi comporta una simile decurtazione? Posso anche accettarlo e comprenderlo, ma perché nessuno me lo spiega, perché nessuno mi aiuta a capire e da un giorno con l'altro io mi ritrovo in una simile situazione?

La mia speranza è che, con questa lettera, qualcuno possa mettersi una mano alla coscienza e aiutare me e – immagino – molte altre persone che nella mia condizione si trovano, ad avere l'assistenza e il supporto di cui necessitano, approfondendo le specifiche situazioni e indicandoci le strade possibili per ottenere quei finanziamenti che sono davvero vitali.

La buona sanità non è solo l'efficienza delle strutture ospedaliere e la messa a disposizione di cure e farmaci all'avanguardia, e non è nemmeno la distribuzione di denaro a pioggia per l'assistenza dei malati. La buona sanità è anzitutto aiutare le famiglie a gestire al meglio i propri cari malati, mettendo al primo posto il rispetto della dignità umana favorendone le migliori condizioni di vita possibili".

Alice, una mamma di Siurgus Donigala

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