Più che un soffitto di cristallo, quello che limita la partecipazione delle donne alla politica è un muro molto solido, difficile da bucare. E non solo in Italia: la questione femminile nell'accesso ai posti di potere accomuna un po' tutta l'Europa, anche se alcuni Paesi sono più avanti del nostro su questo fronte. La polemica esplosa nel Pd, dopo la scelta di una delegazione di soli uomini nel governo Draghi, ha riaperto una riflessione annosa, che non sembra ancora chiudersi: è vero che il numero di donne nelle assemblee elettive è assai cresciuto negli ultimi lustri, ma l'avanzata tende a fermarsi sulla soglia che dà accesso alle cariche di vertice. Vale per la politica italiana e anche all'estero, come dimostra una recente indagine della Fondazione Openpolis, specializzata nell'analisi dei dati relativi alle istituzioni, all'economia, al potere centrale e locale.

Una riunione del governo Renzi (foto Ansa/archivio L'Unione Sarda)
Una riunione del governo Renzi (foto Ansa/archivio L'Unione Sarda)
Una riunione del governo Renzi (foto Ansa/archivio L'Unione Sarda)

La ricerca rivela che, se da un lato aumenta la presenza di ministre nei governi europei, dall'altro la stragrande maggioranza delle posizioni chiave (capo dello Stato, primo ministro, Interni, Esteri, Economia, Sanità) è occupata da uomini. Addirittura i quattro quinti. In ben 10 Paesi, sui 27 dell'Ue, nessuna donna ricopre uno di quei sei incarichi. Contando anche l'esecutivo dell'Unione, ossia la Commissione europea, sulle 168 poltrone considerate più importanti siedono solo 34 donne, pari al 20,2%.

Ecco perché, dopo il caso delle ministre Pd, il nuovo segretario Enrico Letta ha subito posto il problema del cambio di genere dei capigruppo parlamentari: in Italia abbiamo molte deputate e senatrici, ma poche arrivano a guidare il proprio gruppo. Ancora meno quelle chiamate a presiedere la Camera o il Senato. E poi ci sono quei ruoli che finora sono stati esclusivamente maschili: il presidente del Consiglio, il capo dello Stato, il ministro dell'Economia. È appunto la caratteristica che si riscontra anche nel panorama europeo, dove pure si registrano vari Paesi capaci di affidare a una donna la massima responsabilità di governo: oggi la Germania di Angela Merkel, già a fine anni '70 Margaret Thatcher in Gran Bretagna (e sono solo i due esempi maggiori). A fronte di questi casi virtuosi, la maggioranza degli Stati europei tende comunque a scegliere un uomo per le principali cariche politiche. Fino al caso emblematico della Francia, dove non solo si è da tempo affermata una consistente presenza femminile in Parlamento, ma anche nel governo si è arrivati quasi alla perfetta parità tra i generi (48,6% di donne, nel 2019, nel secondo esecutivo formato da Edouard Philippe): eppure i famosi sei incarichi sono attualmente solo maschili. Neppure Parigi ha mai avuto una presidente della Repubblica, mentre per la guida del governo fa leggermente meglio dell'Italia grazie a Edith Cresson, l'unica nominata primo ministro. Rimase in sella meno di undici mesi, tra il 1991 e il 1992.

Insomma, al genere femminile si concede di guadagnare terreno nelle posizioni di rincalzo, ma l'accesso ai posti che contano di più è perlopiù vietato. Non avviene solo nella politica, va detto: basti pensare a quante dottoresse lavorano nei reparti ospedalieri, e a come sia raro che una di loro arrivi alla posizione di primario. La metafora del soffitto di cristallo fu coniata negli anni '80 dal femminismo americano proprio per descrivere la situazione del mondo del lavoro, dove in teoria non ci sono più ruoli da cui le donne siano escluse: poi però risultano svantaggiate nella scelta dei capi e nelle retribuzioni. Nell'attività politica invece sembra di trovarsi davanti a un confine ben più visibile e tangibile, che non si cela nel segreto di un cda o delle contrattazioni private, ma si manifesta nelle scelte di organismi o leader.

Sempre rispetto ai sei ruoli governativi principali, il rapporto di Openpolis sottolinea che le donne non sono mai la maggioranza. Sei Stati (oltre alla Commissione europea) li dividono esattamente a metà. C'è la Spagna, e poi alcuni Paesi del Nord: Danimarca, Finlandia, Estonia, Lituania e Svezia. Di questi, i primi quattro hanno anche una donna a capo del governo; nel resto dell'Ue, l'unica altra premier è Merkel.

Belgio e Lussemburgo hanno due donne nelle sei posizioni chiave, mentre restano a zero Francia, Polonia, Austria, Romania, Cipro, Croazia, Lettonia, Slovenia, Ungheria e Malta. Tutti gli altri ne hanno solo una, compresa l'Italia con la sola ministra dell'Interno Luciana Lamorgese: nel governo Draghi come nel Conte bis. Da questo punto di vista, nel nostro Paese hanno fatto meglio solo i governi Letta e Renzi, con due ministre "di peso": Emma Bonino (Esteri) e Beatrice Lorenzin (Sanità) nel primo caso, ancora Lorenzin con Federica Mogherini (Esteri) nel secondo. Dal 2001, su undici governi, i tre senza donne nei ruoli cruciali sono stati i Berlusconi bis, ter e quater. Guardando all'intero esecutivo, quello guidato da Matteo Renzi ha segnato il record di donne: 40%. Il governo Draghi si colloca al 34,8, però le donne hanno soprattutto ministeri senza portafoglio, nei quali occupano il 62,5% dei posti, mentre in quelli con portafoglio solo il 20.

Piuttosto sbilanciata anche la distribuzione del potere in Parlamento: dal 2004 a oggi l'Italia ha fatto segnare in Europa il più forte aumento di donne deputate o senatrici, che però si aggiudicano solo il 33,9% delle presidenze di commissione. C'è comunque qualche motivo di ottimismo: nella scorsa legislatura lo stesso dato si fermava al 12,1. E poi bisogna considerare che le donne sono oggi il 35,8% dei parlamentari, quindi il numero delle presidenze di commissione è abbastanza in linea. Il record europeo di crescita della presenza femminile va all'Italia soprattutto perché partiva da un dato molto basso, il 9,9%. Svezia e Finlandia sfiorano una divisione perfettamente equa del numero dei parlamentari (entrambe si collocano attorno al 47% di donne); all'estremo opposto l'Ungheria, che non fa meglio del 12,2, preceduta dalla fascia dei Paesi che viaggiano circa al 20 (Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Malta, Romania e Cipro). Tutto sommato l'Italia, grazie ai progressi degli ultimi anni, fa meglio di una buona parte dell'Ue: c'è ancora un grande cammino da fare, ma in generale la freccia della modernizzazione va nella direzione della parità. Però va detto che il maggior numero di donne in Parlamento è dovuto soprattutto alle regole sull'alternanza di genere tra i candidati, in un sistema di liste bloccate. Sarà meglio ricordarsene il giorno in cui si dovesse tornare a una legge elettorale con le preferenze, perché - senza opportuni correttivi - si rischierebbe un anacronistico passo indietro.
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