E' stata una piccola fitta nostalgica al cuore. Una capriola all'indietro negli travolgenti anni Settanta, per molti versi intellettualmente snob, anni di grandi riforme sociali, anni nei quali leggere i fotoromanzi era considerato un "affare da cameriere" o da donne un po' ignoranti, le uniche di fatto legittimate a sognare amori bellissimi con uomini bellissimi, ovviamente inarrivabili. Guardato con sospetto dalla cultura dominante dell'epoca, superato dalle tv che iniziavano a propinare le soap, il fotoromanzo di carta ha vissuto una lunga agonia per poi scomparire. Ma ora, incredibile ma vero, è tornato e siamo nel terzo millennio, eppure sembra 50 anni fa. Un bel faccione di Alberto Lupo, basette d'ordinanza e robusto nodo alla cravatta in linea con gli anni, occhieggia dalla scritta in corsivo "Sogno. Storie d'amore dal 1947", tra cruciverba, magazine, qualche libro, il ventaglio di quotidiani e tutti quei piccoli gadget che nel tempo hanno trasformato le edicole da tempi laici dell'informazione a piccoli bazar. Da non crederci. Proprio ora che le nostre vite, in questo tempo di clausura, si sono annodate a filo triplo alle serie tv delle piattaforme web. Sulle quali discettiamo, argomentiamo e dalle quali ci facciamo un po' coccolare. In fondo il fotoromanzo, con le sue storie d'amore un po' melense e improbabili, ha lo stesso prodigioso effetto-trappola. La storia inizia, butta male, ma più o meno tutto si risolve. Nato in Italia ma esportato in tutto il mondo è da sempre associato a una nota dispregiativa, nonostante l'arte abbia riscoperto il suo valore restituendogli un po' di dignità. Per intenderci: una copertina di "Sogno" degli anni Cinquanta con Sophia Loren, al tempo conosciuta come Sofia Lazzari, è in bella mostra al MoMa, il mitico museo di arte moderna e contemporanea di New York. Insomma, il fotoromanzo, uno strumento di altri tempi aiuta a indagare alcuni meccanismi attualissimi. Non abbiamo certo smesso di innamorarci, né di sbirciare la vita dei più belli e dei più ricchi che oggi pubblicano le loro foto perfette su Instagram o sugli altri social. In un mondo più leggero, per non dire fatto di tanta apparenza, il fotoromanzo ha quanto meno la cittadinanza onoraria. Chi ha un po' di anni sulle spalle, ricorda il fascino tenebroso di Franco Gasparri, con quel suo sguardo eternamente obliquo, morto a soli 51 anni dopo averne trascorsi tanti su una sedia a rotelle, conseguenza di un incidente stradale con la sua moto. Parlare del fotoromanzo significa evocare Katiuscia, nome d'arte di Caterina Piretti, una delle dive più apprezzate del genere che ha conosciuto l'inferno della droga, la conversione al buddismo e la conseguente rinascita. Non si può dimenticare, va da sé, Ornella Muti, che inizia la sua carriera artistica proprio sulle storie d'amore con la nuvola parlante. All'epoca usava il suo vero nome Francesca Rivelli e anche sua sorella Claudia era una diva dei fotoromanzi.

Per essere precisi, il ritorno del fotoromanzo è della scorsa estate, il 24 luglio, per la Sprea Editori, e segna una vera "operazione nostalgia" che, appena avviata, è stata accolta con curiosità. All'interno di ogni numero rivivono gli storici personaggi (vedi appunto Alberto Lupo che interpretò numerosi fotoromanzi ma per la "Bolero Film"), accanto a interviste ai grandi personaggi di oggi: attori, cantanti, presentatori tv. Il primo numero di marzo, per chiarezza, ha un'intervista a Orietta Berti, appena tornata a esibirsi sul palco di Sanremo. Alla guida c'è il direttore Mario Sprea, autore di fotoromanzi, sceneggiatore della "Lancio", ex direttore di Grand Hotel e produttore di storie d'amore per Maxi Color, Superstar, Katiuscia. Su questo punto si può magari dissentire. Basta leggere questo scambio di battute. Lei dice a lui: Vorrei mettermi a lavorare, non farò la casalinga, dopo sposati, ti avverto. Lui: Lavorare? Basta quel che guadagno io, ti assicuro. E lei: Uhh, che discorso del cavolo... …
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