E vissero per sempre felici e contenti. O forse no. Le nozze reali di questi tempi non sono esattamente nozze da favola. E il bel castello (marcondirondirondello) ospita spesso neo principesse in lacrime, stremate dagli obblighi legati al rango, dal galateo e dagli intrighi di Corte, dai pettegolezzi dei quotidiani popolari e dei siti web. Lo dimostra il clamoroso sfogo televisivo di Harry e Meghan davanti a Oprah Winfrey. Il duca e la duchessa del Sussex piccoli piccoli nel confronto con la regina americana dell'infotainment televisivo, una potenza che muove eserciti di spettatori (secondo il New York oltre 17 milioni di spettatori hanno seguito l'intervista su CBS) e investitori pubblicitari.

UNA FUGA CLAMOROSA… Non è esattamente Cenerentola Meghan Markle, classe 1981, quando sposa Harry (di tre anni più giovane), figlio di Carlo d'Inghilterra e della prima moglie Lady Diana Spencer, sesto nella linea di successione al trono. Popolarissima attrice della serie tv "Suits", bella, ricca, elegante. Ma ha i suoi difettucci, agli occhi della cricca di Buckingham Palace: origine borghese (e vabbè) ma soprattutto ascendenza afroamericana. Dettaglio che le procura l'ostilità dei sudditi più conservatori e dei potentissimi tabloid che ne plasmano le menti. Un'ostilità condivisa da elementi della stessa famiglia reale e del suo entourage: prima che suo figlio vedesse la luce, racconta Meghan a Oprah Winfrey (la donna afroamericana più influente al mondo) qualcuno già si preoccupava che potesse avere la pelle nera. Insultata dai razzisti, abbandonata al suo destino dalla famiglia reale, Meghan scivola in depressione. Veda una sola opzione: la fuga. Così Harry e Meghan voltano le spalle al Castello, rinunciando ai privilegi reali. Meglio vivere, raccontano a Oprah.

Il battesimo di Archie (foto archivio L'Unione Sarda)
Il battesimo di Archie (foto archivio L'Unione Sarda)
Il battesimo di Archie (foto archivio L'Unione Sarda)

E UNA IN PUNTA DI PIEDI Analoga fuga - ma in punta di piedi - ha tentato, nel 2002, Masako Owada, moglie dell'allora erede al trono del Giappone. Un matrimonio d'amore, quello fra la brillante diplomatica di estrazione altoborghese e il nobile Naruhito. Un amore proibito dalla tradizione, coltivato in segreto, sino alla trasgressione delle nozze. Ma la vita di corte, lo stress di non riuscire a partorire un erede maschio per il trono del Crisantemo, la rinuncia obbligata alle sue ambizioni personali, minano la salute di Masako, che si ritira dalla vita pubblica, chiedendo scusa per la propria incapacità di adattarsi ai doveri imperiali. Una lunga parentesi. Dal maggio 2019 Masako Owada è l'imperatrice consorte, a fianco del marito ogni volta che le cerimonie lo richiedono, con il suo fragile sorriso di circostanza. "Triste come Lady Diana", è la definizione che rimbalza sui media e sui social.

LA RIPUDIATA Tutt'altro epilogo aveva avuto, negli anni Cinquanta, la love story fra lo scià Reza Pahlavi (1941-1980) e la sua seconda moglie Soraya Esfandiary-Bakhtiary (1932-2001). Lei era sterile, nonostante le cure (ampiamente pubblicizzate) non poteva dare un erede a una dinastia giovane e instabile, alla disperata ricerca di cerimonie che ricreassero agli occhi dei sudditi un legame con la favolosa Persia antica. Il 21 marzo 1958, giorno di Naw Ruz, Capodanno persiano, lo scià piangeva mentre annunciava di ripudiare Soraya. Lo testimoniarono i cronisti politici e per decenni ci ricamarono sopra i loro colleghi addetti al gossip nei rotocalchi di tutto il mondo. "La principessa dagli occhi tristi" fu compensata con un appannaggio degno del suo rango, che neppure la Repubblica degli Ayatollah osò ridimensionare.

Il matrimonio fra lo scià di Persia Reza Pahlavi e Soraya (foto Ansa)
Il matrimonio fra lo scià di Persia Reza Pahlavi e Soraya (foto Ansa)
Il matrimonio fra lo scià di Persia Reza Pahlavi e Soraya (foto Ansa)

LA SOLITUDINE DELLE SOVRANE Belle, ricche, potenti. Ma stritolate dal loro stesso ruolo di privilegiate. Fino alla depressione, all'anoressia. Possibile? Il dibattito impazza e alimenta il confronto fra moralisti di senso opposto. I monarchici a oltranza scandalizzati dalle pubbliche confessioni; i repubblicani confermati nella loro convinzione che un'istituzione desueta e costosa vada abolita. Il potente giornalista di ITV Piers Morgan, che ha messo in dubbio la versione di Meghan e soprattutto la sua malattia, è costretto a scusarsi e dà le dimissioni.

Comunque la si veda, Soraya, Diana Spencer, Masako Owada e Meghan Markle sono state precedute da una lunga serie di donne sacrificate sugli altari degli interessi dinastici o sottoposte a grande stress dalle famiglie acquisite e dagli obblighi di corte. La solitudine di regine e principesse è una realtà antica. Tanto che Lucrezia D'Este, usata e abusata dalla famiglia come pedina di relazioni diplomatiche e militari, fonda nel 1580 a Ferrara un istituto per ospitare le donne maltrattate dai mariti.

Poesie, leggende, ballate popolari, romanzi, film, serie tv: la storia delle malmaritate si intreccia con quella della cultura europea.

DALLA TRAGEDIA GRECA AI FOLKSINGER Clitennestra, regina di Micene, è costretta a sposare Agamennone che ha ammazzato suo marito Tantalo e il loro figlio. Già questo sarebbe abbastanza. Ma non è tutto: Agamennone sacrificherà agli dèi la figlia Ifigenia per assicurarsi la vittoria nella guerra di Troia. Clitennestra lo uccide in un agguato, quando il re ritorna al termine del lungo conflitto. E passerà alla storia come la più infame delle traditrici. Il grande pubblico di Oprah Winfrey forse non ha familiarità con la tragedia greca, ma probabilmente ricorderà Mary Hamilton, eroina di una popolare ballata del XVI secolo che i migranti scozzesi hanno portato con sé negli Stati Uniti, cantata, fra gli altri, da Joan Baez: Mary è la dama di corte della regina di Scozia e muore sul patibolo perché ha ucciso, affidandolo al fiume in una cesta, il figlio neonato avuto dal re ("il più alto fra gli Stuart") che l'abbandona dopo averla messa incinta. Anche i sovrani passati alla storia per lungimiranza e apertura mentale possono essere crudeli con le loro consorti. Federico II di Svevia, Stupor Mundi, esempio di saggezza, multiculturalismo e tolleranza religiosa nel XIII secolo, fu un marito geloso e feroce. La sua terza consorte Isabella d'Inghilterra, sposata a Worms nel 1235, morì da prigioniera a Noventa Padovana, custodita da inflessibili eunuchi in una sorta di harem. Né il fratello di lei, Riccardo di Cornovaglia, che con grande difficoltà riesce a farle visita al ritorno dalle crociate, si degna di prendere le sue parti.

UN GENERE LETTERARIO I drammi d'amore delle famiglie reali sono un genere letterario molto praticato nel Regno Unito. La più famosa delle autrici è Philippa Gregory, storica di formazione, collaboratrice della BBC. La sua sterminata produzione (edita in Italia da Sterling & Kupfer) intreccia le vicende pubbliche e private dei Tudor e dei Plantageneti. La bulimia sessuale di Enrico VIII distrugge le sue molte amanti e le sue sei mogli. Gregory ricostruisce con passione gli intrighi con cui la famiglia Bolena sfrutta la bellezza di Maria e poi l'arguzia di Anna per acquisire potere, infilando le ragazze nel letto del re. Anna riuscirà a diventare regina, spodestando la cattolicissima Caterina d'Aragona (al cui dramma personale la scrittrice dedica un altro romanzo) ma finirà decapitata con l'accusa di incesto e stregoneria.

E se pensate che siano storie passate, che interessano solo signore annoiate in cerca di evasione, considerate che una schiera di storici e critici letterari britannici si è accapigliata sulla veridicità di questo o quel dettaglio dei romanzi e delle fiction che hanno ispirato.

DOLORI DI FRANCIA E D'AUSTRIA Moglie trascurata, vittima delle angherie di una madre dominatrice e lontana, ma anche delle convenzioni di un ancien régime bigotto: è il volto sconosciuto di Maria Antonietta d'Austria. Sposa di Luigi XVI di Francia, sarà come lui ghigliottinata dai rivoluzionari. Non sappiamo se davvero abbia mai consigliato ai sudditi affamati di mangiare brioches in mancanza di pane. Di certo morì fedele all'istituzione monarchica che l'aveva resa una schiava: ricca e viziata, ma sotto un padrone assoluto. Per oltre due secoli è stata una delle figure femminili più odiate. Nel 2006 la regista Sofia Coppola ne ha fatto la protagonista di un film che porta il suo nome e la dipinge con simpatia, alla disperata ricerca di un affetto.

Infelicissima era, un secolo più tardi, Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach (1837-1898), imperatrice d'Austria in quanto moglie di Francesco Giuseppe, ovvero Cecco Beppe, il grande cattivo dei miti risorgimentali italiani. La sovrana, educata in maniera libera, odiava l'etichetta di corte, mal sopportava i tradimenti del marito, le ingiustizie sociali. Si ribellò cercando lo scandalo (inammissibile a quei tempi) con i suoi comportamenti salutisti, la passione per la ginnastica, le amicizie che non tenevano conto dell'etichetta. Ebbe una serie di disturbi che oggi definiremmo psicosomatici, era ossessionata dalle diete e probabilmente anoressica. Fu assassinata a coltellate da un anarchico italiano, ma non prima di aver visto morire in circostanze misteriose il cugino Ludwig di Baviera e il figlio Rodolfo. A Mayerling, nel 1889, l'erede al trono fu trovato morto con l'amante, la baronessa Maria Vetsera: decisione comune presa in odio alle costrizioni sociali, oppure femminicidio seguito da un suicidio? Il mistero nutre la leggenda.

DA DONNE A MITI E se la storia vi suona familiare è perché difficilmente sarete riuscire a evitare i film (ben 28, a partire dall'era del Muto) le serie televisive (l'ultima nel 2009, una coproduzione italo-austriaca) i cartoni animati (nel 1997, andato in onda sulla Rai) e persino i musical che l'hanno raccontata, attribuendo all'imperatrice il nomignolo di Sissi e (per gli spettatori più maturi) il volto di Romy Schneider. L'attrice austriaca interpretò, fra il 1955 e il 1957, la trilogia ultrapopolare di Ernst Marischka e, quasi vent'anni dopo il sofisticato Ludwig di Luchino Visconti. Spensierata gioventù e penosa maturità di una donna troppo avanti per i suoi tempi. La sovrapposizione fra la vita dell'imperatrice Elisabetta come è raccontata dagli storici, il suo avatar cinematografico Sissi e la grande artista che l'ha ricreata (Romy Schneider ebbe lei stessa una vita puntellata di tragedie e alcolismo, morendo in circostanze oscure) rappresentano forse il culmine della mitopoiesi nella comunicazione di massa. Ovvero, l'arte di sfornare nuovi miti riscrivendo la vita privata dei personaggi pubblici, astraendoli dal contesto sociale, politico ed economico in cui sono vissuti. Il che, come spiegava Roland Barthes, è un ottimo sistema per sterilizzare i conflitti e confermare la versione del mondo che fa comodo a chi detiene il potere. La Sissi del mito cinematografico è accattivante, seducente o misteriosa, ma innocua. L'imperatrice Elisabetta, con i suoi comportamenti, era un vero pericolo per i valori della corte austroungarica.

GOD SAVE THE QUEEN Così non stupisce che Meghan e Harry si confessino davanti a Oprah. Voltando le spalle alla Corte, hanno rinunciato ai privilegi dinastici, ma non saranno mai i coniugi Nessuno. Escono dall'intervista televisiva indossando la veste sacra del Mito. Perché, in fondo, chi non si immedesimerà in un frammento di questa storia strappalacrime: la suocera distante, la famiglia fredda, i propri figli trascurati a vantaggio dei cuginetti, gli attacchi dei giornalisti falsi e bugiardi? Anche i ricchi (e potenti) piangono. Quindi sono come noi.

Tanto che la Regina (o chi per lei) finalmente risponde alle doglianze dei nipoti, con un comunicato in cui si esprime dolore per le aggressioni razziste subite dalla coppia. La famiglia ne parlerà, in privato. I panni sporchi si lavano in casa. E così Elisabetta coltiva e rafforza un altro mito, davvero inossidabile: il proprio. La monarca anziana e paziente coi giovani ribelli. Rispettosa della tradizione, ligia al dovere, fedele alla corona e anche alle sue spine. Ma non insensibile alla sofferenza umana. The show must go on.
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