Quando Carmelo Bene è "apparso alla Madonna", era il 31 luglio 1981. Quarant'anni fa. In Italia era ancora orrendamente vermiglio il sangue versato dalle 285 vittime della strage di Bologna, 85 morti e 200 feriti. Un anno prima, il 2 agosto 1980 una bomba a tempo all'interno di una valigia lasciata nella sala d'aspetto della seconda classe nella stazione centrale di Bologna, gettò nel terrore l'intera nazione, ancora una volta. Crollò un'ala della stazione, investendo in pieno il treno Ancona-Chiasso sul primo binario e il parcheggio dei taxi. Quell'attentato che fermò il tempo alle 10.25 venne considerato uno degli ultimi atti della stagione delle stragi. Sei anni prima, va infatti ricordato, nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974, sempre a Bologna, una bomba piazzata sotto il sedile di una carrozza del treno Italicus, uccise 12 persone mentre 48 furono i feriti.

Carmelo Bene (foto archivio L'Unione Sarda)
Carmelo Bene (foto archivio L'Unione Sarda)
Carmelo Bene (foto archivio L'Unione Sarda)

DEGLI ASINELLI, LA TORRE Per commemorare il primo anniversario di quella carneficina nella stazione del capoluogo emiliano, l'allora sindaco di Bologna, Renato Zangheri, nonostante il partito gli fosse contro, invitò Carmelo Bene a recitare Dante dalla Torre degli Asinelli. Fu quella una Lectura Dantis memorabile. Tagliò il cielo notturno di una calda Bologna, l'amore di Paolo e Francesca, spinti dal vento della bufera infernale. Apparve l'ingegno fraudolente di Ulisse. E poi tutta l'ira focosa di Dante/Bene contro il potere politico che disumanizza l'uomo trasformandolo in una belva feroce contro gli innocenti. Eccoli i traditori della patria, ecco soprattutto Ugolino della Gherardesca, traditore e tradito. «Zangheri, primo Renato della città, m'aveva già da tempo condannato a cantar l'Allegheri in quella data (anniversario di funesta strage) al cospetto del popolo tutto che, galeotta l'occasione poetica, avrebbe - prima che la parodia del presente soppiantasse la scorsa tragedia -, meglio che in assai distratto raccoglimento in san Petronio, dovuto ripensare a quel fattaccio, come si addice ai laici ricordatori». Sono le parole di Bene scritte nel capitolo "Sono apparso alla madonna", che dà il titolo al libro della sua autobiografia, in una lingua arcaica, pubblicata da Bompiani nel 1983.

IL TITOLO A dire il vero, quel titolo così autobiografico, dissacrante e irriverente gli venne suggerito involontariamente dal popolare giornalista Rai e suo amico, Ruggero Orlando, l'inviato speciale che apriva i suoi collegamenti con l'indimenticabile formula «Qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando», mentre con la mano destra sollevata a favore di telecamera salutava i telespettatori. Avvenne così: «Forte dei Marmi, 9-8-1982. Inatteso e come mai puntuale, apparve dalla fessura del cancello di Villa Beatrice (...). Apparve Ruggero Orlando. La bottiglia di scotch in pugno. Aggrappandosi a una provvidenziale quercia: "....Caro Carmelo... ho appena letto la tua ultima: ho saputo che sei apparso alla Madonna!", e giù, piegato in due, uno sgangherato sghignazzo dei suoi. Così (e data non mente) il geniaccio di Ruggero indovinò d'aver letto, di una pagina ancora non scritta, di un libro ancora non pubblicato». Lo racconta Giancarlo Dotto, giornalista, amico e collaboratore di Carmelo Bene.

LA POLEMICA L'idea del sindaco comunista di Bologna, Renato Zangheri, di dedicare quattro giorni a una commemorazione non comune, per la strage della stazione, mandò in fibrillazione politici, amministratori, intellettuali e soprattutto quell'ampia fetta di cattolici gestiti dalla Democrazia cristiana. Il vero scandalo fu tutto attorno a un nome: Carmelo Bene. Il gruppo Dc del Consiglio comunale di Bologna, tuonò: «Il partito non sarà presente alla celebrazione affidata a Carmelo Bene, un istrione, un pagliaccio». Parole di Federico Bendinelli, capogruppo scudocrociato. La risposta di Bene non si fece attendere: «Chi non mi capisce è un provinciale, e Dante i provinciali li getta all'Inferno, nel Girone della merda». Quando poi al termine dalla serata Bendinelli cercò di recuperare e di rendere omaggio al mattatore che aveva commosso e conquistato per circa un'ora le oltre centomila persone sotto la torre, l'attore salentino lo liquidò senza troppi giri di parole: «Le do tre minuti per sparire di qui, dopodiché sarò costretto a gettarla giù dalla torre» (Vita di Carmelo Bene, libro autobiografico scritto da Bene in collaborazione con Giancarlo Dotto, edito da Bompiani, 1998). Sulla scia delle pesantissime polemiche innescate da quell'happening, «uno dei più infernali casini del dopoguerra ma anche il più grande e irripetibile evento della mia vita», come lo definì lo stesso Bene, la Rai decise di bloccare le riprese televisive dell'evento. Gli scontri politici era accesissimi, Bene era un personaggio scomodo per molta parte di quella Italia depistata e corrotta. Ingestibile e ritenuto pericoloso per le vittime, per Dante e per istituzioni.

L'EVENTO «Era l'ora. M'inerpicai sui pioli d'una impervia scaletta e finalmente mi mostrai alla folla che, meravigliata forse più di suo numero che del miraggio mio, salutò in me l'attesa. Fu di plauso un boato indescrivibile che si ripercoteva da le piazze lontane e ne le strade adiacenti tutte. Apparvi». A quel punto, racconta lo stesso Bene, «li occhi mia chiusi al leggio luminescente, presi a cantar li versi d'Allegheri. Ma d'altrove...». La scelta dei brani non fu casuale. Quel «Dante "comunista"» apriva un processo alla classe politica nazionale. I PROCESSI Partiamo dalla coda. L'ultimo capitolo, in ordine di tempo, è quello scritto a metà febbraio 2021 dal gup, Alberto Gamberini, che ha rinviato a giudizio l'ex Avanguardia Nazionale Paolo Bellini, accusato di essere uno degli autori del massacro della stazione, in concorso con i Nar condannati (Ciavardini, Mambro e Fioravanti in via definitiva e Cavallini in primo grado) e con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D'Amato e Mario Tedeschi (accuse infondate secondo il figlio Claudio Tedeschi), deceduti e indicati dalla Procura generale di Bologna, mandanti o organizzatori. A processo con Bellini anche l'ex carabiniere Piergiorgio Segatel, per depistaggio, e Domenico Catracchia, amministratore di condominio di immobili in via Gradoli a Roma. Il processo comincerà il 16 aprile. Prima di questa data ci sono da ripercorrere quarant'anni di aule giudiziarie. Si parte nel 1987, tre anni dopo l'appello assolve tutti gli indagati. Il 23 novembre 1995 si giunge a una sentenza definitiva della Corte di Cassazione dove vengono condannati all'ergastolo, quali esecutori dell'attentato, i neofascisti dei Nar Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Condannati invece per depistaggio delle indagini, l'ex capo della loggia massonica "P2" Licio Gelli, l'ex agente del Sismi Francesco Pazienza e due alti ufficiali Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, del servizio segreto militare. Nel 2007 viene ritenuto colpevole anche Luigi Ciavardini (minorenne all'epoca dei fatti). Il 9 gennaio 2020 Gilberto Cavallini è individuato come il quarto uomo della strage, e viene condannato all'ergastolo per concorso nella strage. Le motivazioni della sentenza sono state depositate il 7 gennaio scorso. Per Michele Leoni, presidente della Corte d'assise di Bologna, «si è trattato di una strage politica, o, più esattamente di una strage di Stato».

BOLOGNA, IL SALUTO DI BENE «Io mi scuso per il vento che ha turbato questa dizione, questo canto. E sebbene ringrazi gli astanti, ricordo un po' a tutti che ho dedicato questa mia serata da ferito a morte non ai morti ma ai ferito dell'orrenda strage». Un boato di applausi attraversò la città in ogni sua via, in ogni suo portico raggiunto dall'amore di Paolo e Francesca. Avvenne a Bologna, una notte di quarant'anni fa.
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