Oltre alle monete virtuali e al fenomeno Gamestop, c'è anche un altro settore che attira l'attenzione degli investitori e degli analisti di Piazza Affari: l'idrogeno. Negli ultimi mesi, i titoli azionari legati all'idrogeno, ma anche i fondi di investimento o i certificati sono letteralmente esplosi. Performance di tutto rispetto. Un esempio? Nei giorni scorsi, il Sole 24-Ore ha reso noti i dati sull'andamento del certificato Vontobel solactive hydrogen quotato al Sedex e che replica le performance di titoli del settore. Da aprile a oggi l'aumento è stato di oltre il 160%. L'americana Plug Power, che produce celle a combustibile all'idrogeno (utili ad esempio nelle future auto o mezzi a idrogeno), ha un peso notevole all'interno di questo paniere. Le azioni della società americana a ottobre valevano 14 dollari, ora viaggiano intorno ai 70. Sono solo alcuni esempi per raccontare un mercato che fa segnare performance molto intriganti. Ma è tutto oro quel che luccica, oppure siamo di fronte a una bolla? Gli analisti sono perplessi. Non che non si guardi con attenzione al settore, ma si predica prudenza. Il perché è facile da spiegare. Da un lato, il mercato sta in qualche modo scontando, o forse sarebbe meglio dire anticipando, situazioni future. Ma proprio perché sono future non è detto che le previsioni saranno rispettate. Certamente, le strategie europee e mondiali vanno verso l'obiettivo di ridurre le emissioni e in questo senso l'idrogeno ha di sicuro uno sviluppo assicurato. Viene infatti considerata la fonte energetica più presente al mondo e la Ue la considera strategica per azzerare le emissioni di carbonio entro il 2050, tanto più che gli investimenti programmati nel vecchio continente dovrebbero, secondo le previsioni, creare in Europa 5,5 milioni di posti di lavoro e un giro d'affari da 800 miliardi di euro all'anno. Nel 2050 la Cina prevede di avere il 15% dei veicoli in circolazione mossi proprio dall'idrogeno. A livello globale si stima che un quarto della domanda totale di energia sarà coperta dall'idrogeno e che la capacità produttiva di questo gas sarà 300 volte superiore a quella attuale.

Con questi numeri è facile ipotizzare che il business sarà importante e scommettere sul futuro anche se restano in piedi alcuni ma. Intanto, il percorso sarà lungo. Per esempio, sulla mobilità, come scritto altre volte anche in questa rubrica, saranno soprattutto i grandi mezzi, treni, navi, aerei e camion, a essere spinti dall'idrogeno, perché le auto di media e piccola dimensione sono di sicuro più convenienti se totalmente elettriche (i mezzi a idrogeno devono avere batterie di notevoli dimensioni per l'elettrolisi, quindi tanto vale realizzarle direttamente elettriche, mentre l'idrogeno è conveniente sui mezzi più grandi). Detto questo l'idrogeno va prodotto.

Per produrre l'idrogeno, soprattutto quello verde (pulito), è necessario utilizzare acqua ed elettricità, ma se l'energia viene ottenuta con combustibili fossili, si vanifica l'obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti. Quindi l'energia utilizzata per l'elettrolisi, il processo per ottenere l'idrogeno dall'acqua, deve provenire da rinnovabili. Oggi questo processo è ancora molto costoso ma si stima che entro il 2050 un chilo di idrogeno pulito costi non più di un dollaro, mentre per il 2030 si parla di due dollari per chilo, che sarebbe già un obiettivo importante per abbattere gli attuali prezzi. Una volta prodotto, l'idrogeno va conservato. Può essere trasportato nei gasdotti oppure immagazzinato in depositi costruiti ad hoc e poi riportato allo stadio gassoso e immesso nelle reti. Tutto questo comporta dunque importanti investimenti. E infatti la maggior parte delle società che operano nel settore sono ancora nella fase in cui le spese prevalgono sui profitti. È il caso della francese Mcphy, quotata alla Borsa francese dal 2014, società che produce elettrolizzatori per ottenere idrogeno dall'acqua. Dal 2014 a oggi non ha mai chiuso un bilancio in utile e si prevede che almeno fino al 2022 produca in perdita. Nonostante questo, nel 2020 le sue azioni hanno registrato un balzo che hanno portato il titolo dai 5,86 euro di fine maggio ai 24 di oggi. L'americana Nikola, specializzata nella realizzazione di mezzi di trasporto commerciali che usano l'idrogeno come combustibile, a giugno scorso ha fatto registrare un incremento del 135% per le sue azioni. Anche in questo caso la società non produce utili e, dopo le accuse arrivate da un fondo speculativo, di recente il titolo ha perso il 57%.

Due esempi per dire che in questo momento esiste senza dubbio una bolla sui titoli dell'idrogeno e che sicuramente è il combustibile del futuro, ma bisogna stare attenti. Non è detto che tutte le società quotate in Borsa o i prodotti finanziari che fanno riferimento a questo settore possano assicurare profitti consistenti nell'immediato. Come spesso accade quando un settore è in espansione, molti caduti rimangono sul percorso. Quindi occhio! Se si è un cassettista può essere conveniente investire sull'idrogeno ma bisogna seguire i prodotti finanziari con attenzione oppure stare alla larga. Per chi vuole scommettere su questi titoli a tutti i costi, invece, bisogna che sia chiaro che i profitti potrebbero arrivare in un orizzonte piuttosto lungo, almeno cinque anni, ma mettere in contro turbolenze di breve periodo ed essere pronti ad agire per evitare perdite consistenti. In questo senso, piuttosto che fare da sé, forse è meglio affidarsi a fondi istituzionali che, all'interno del proprio paniere, hanno anche prodotti legati all'idrogeno ma non solo, con una diversificazione che permette di controbilanciare i titoli e le obbligazioni con un futuro ancora incerto.

Insomma, tutti sappiamo che le energie rinnovabili e l'idrogeno ci permetteranno di vincere la battaglia contro le emissioni, ma la strada è tortuosa e piena di interrogativi. Quindi investire i nostri soldi sul futuro è sempre una scommessa intrigante purché lo si faccia con equilibrio e attenzione.
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