Tra le tante modifiche allo stile di vita che ognuno di noi ha dovuto subire a causa della pandemia Covid-19, una sostanziale riguarda il mondo del lavoro. In particolare il telelavoro che è stato introdotto in Italia a partire dal 1999 quando il termine viene menzionato all'interno del regolamento nelle pubbliche amministrazioni. Questa crisi sanitaria legata alla pandemia però ha portato molti dipendenti pubblici e privati a confrontarsi per la prima volta con questa modalità. Sino al 2018 la media europea di persone che ha lavorato almeno una volta alla settimana a casa raggiungeva appena il 7%. Un dato bassissimo se si paragona a quelli attuali.

Uno studio approfondito su questa materia l'ha svolto qualche tempo fa la Fondazione Openpolis. Sempre tre anni fa «nei paesi nordici come Islanda, Norvegia e Finlandia e in alcuni altri con economie altamente terziarizzate (Regno Unito, Paesi Bassi e Lussemburgo) i livelli di telelavoro erano i più alti in Europa con percentuali che andavano dal 20 in su - spiegano gli esperti - L'Italia, invece, si posizionava tra i paesi che hanno usato meno questo mezzo. Infatti, nel 2018 solo il 7% degli italiani dichiarava di aver lavorato almeno una volta alla settimana a casa, secondo Eurostat» A partire dallo scorso anno però molti hanno dovuto utilizzare nuovi strumenti tecnologici per operare. Non solo in telelavoro ma anche in smart working. Cosa è? «In linea di massima si distingue dal telelavoro in quanto, secondo le direttive italiane, è caratterizzato dall'assenza di vincoli orari o spaziali e da un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro. Nel telelavoro la postazione è fissa, in un luogo che è stato precedentemente dichiarato, ed è fornita dal datore di lavoro. Al contrario, con lo smart working la postazione è mobile: la prestazione può essere in parte eseguita all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno, senza previa dichiarazione», chiariscono dalla Fondazione Openpolis.

Prima della pandemia in Italia appena l'1,2% del personale era impiegato nel lavoro a distanza. Tra marzo e aprile 2020 questa quota è salita all'8,8%. Ancora, «nelle imprese di medie dimensioni, il personale che utilizza la modalità del telelavoro è pari al 21,6% (a gennaio e febbraio erano il 2,2%). Nelle grandi imprese, invece, si è passati dal 4,4% dei primi due mesi dell'anno al 31,4% durante il primo lockdown. Tra i settori più coinvolti emergono i servizi di informazione e comunicazione, che sono passati dal 5,0% al 48,8%, le attività professionali, scientifiche e tecniche (da 4,1% a 36,7%) e il settore dell'istruzione con un incremento di 30 punti rispetto a gennaio e febbraio (da 3,1% a 33,0%)», emerge dallo studio. E così si scopre che ben il 39,9% dei lavoratori italiani ha dovuto lavorare per la prima volta da casa a causa della pandemia; una delle crescite più alte in Europa, ma non l'unica ovviamente.

«Dallo studio Eurofound emerge che, nel 2015, il 15% degli intervistati in tutta Europa ha dichiarato di aver lavorato in mobilità. Di questi, il 5% si è spostato frequentemente, mentre il 10% solo occasionalmente. La maggior parte (43%) dichiara, tuttavia, di lavorare esclusivamente all'interno degli spazi dell'azienda. A causa del coronavirus, come abbiamo visto in precedenza, questo dato è diminuito fortemente a favore del telelavoro», spiega ancora Openpolis. In Italia era praticamente un fenomeno sconosciuto: chi effettuava viaggi lavorativi con frequenza era solo l'1,2%, con una percentuale poco più alta (5,4%) per gli spostamenti occasionali. Infine, solo lo 0,5% degli impiegati lo utilizzava. Inoltre viene confermata una teoria: chi lavora da casa lo fa per più ore e con un maggiore stress. «Il 62,5% di telelavoratori dichiara di aver sacrificato più volte il proprio tempo libero per gestire delle richieste lavorative - si legge nello studio Openpolis - Il 13,7% dichiara di vivere questa condizione sempre e il 18% di viverla per la maggior parte del tempo. Situazione diversa per chi lavora solo in ufficio, che presenta quote più basse su entrambe le risposte».

Ora, strettamente legata a questo nuovo fenomeno del mondo del lavoro è la connessione internet, diventata quindi sempre più importante in tutta Italia. Si parte prima da un'analisi di livello europeo per scoprire che non tutti gli Stati sono connessi allo stesso modo. Il 90% delle famiglie di tutta Europa nel 2019 aveva un connessione internet, ma la differenza di qualità cambia a seconda del Paese di appartenenza. E in Italia, o meglio in alcune zone della Penisola, la connessione addirittura è assente.
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