Sono passati trent'anni e sembra ieri. Il 2 febbraio del 1991 Dino Moi partecipò, secondo sardo dopo Walter Uccheddu, ai mondiali Juniores di ciclocross. Dopo 17 anni lo avrebbe imitato Fabio Aru, che quest'anno ha "rischiato" di essere in gara nella rassegna iridata di Ostenda, tra Wout Van Aert e Mathieu van der Poel. A Gieten, minuscolo paese della provincia di Drenthe (Paesi Bassi), invece, c'era Adri van der Poel, il papà, che gareggiò lo stesso giorno di Moi, ma tra i professionisti, finendo secondo alle spalle del cecoslovacco Radomin Simunek. Un altro ceko, Ondrej Lukes, vinse davanti al connazionale Juri Pospisil la gara degli Juniores, alla quale Dino Moi praticamente non partecipò. Le cronache di allora riferirono di incidenti meccanici avuti in partenza. Allora non c'era Internet con le sue dirette streaming, le cose erano riferite per telefono. Altri tempi.

Dino Moi (2° in alto a sin.) con il VS Elettrogas (foto archivio G. Mameli)
Dino Moi (2° in alto a sin.) con il VS Elettrogas (foto archivio G. Mameli)
Dino Moi (2° in alto a sin.) con il VS Elettrogas (foto archivio G. Mameli)

Quella di Dino Moi, il biondino gentile di Ussana, è una vicenda triste. Troppo presto la sua foto è finita in cornice nel corridoio della sede cagliaritana della Federciclismo, in via Sonnino, accanto a corridori come Franco Flore. Aveva 18 anni e una carriera, anzi una vita davanti quando fu fermato da un incidente in moto. Erano passati meno di cinque mesi da quell'avventura olandese. Altrettanti ne passarono prima che, dopo aver tenacemente combattuto con la morte, Moi si arrendesse. La notizia passò quasi inosservata su quei giornali che suo fratello Gianfranco, prima dell'alba, consegnava alle edicole di tutta la Sardegna, viaggiando con i furgoni dei corrieri. La strada che era il luogo di lavoro per lui, era il campo di gara per il suo giovane fratello, che pure si era rivelato sugli sterrati, nel fango del ciclocross. "Quest'anno voglio fare qualche gara su strada per fare un po' di ritmo", ci aveva confidato in un'intervista, alla vigilia del passaggio alla categoria dilettanti, con le sue parole semplici e dirette e quello sguardo timido che nascondeva alla perfezione la straordinaria grinta che sfoderava in gara.

Dino Moi (a sinistra) ai Mondiali di ciclocross nel '91 (foto archivio A. Camboni)
Dino Moi (a sinistra) ai Mondiali di ciclocross nel '91 (foto archivio A. Camboni)
Dino Moi (a sinistra) ai Mondiali di ciclocross nel '91 (foto archivio A. Camboni)

Dopo quello sfortunato Mondiale, Moi era tornato in Sardegna e aveva corso come una rivincita le gare che venivano considerate nell'Isola le più importanti della stagione. Il "Trittico Internazionale" era l'evoluzione della "Due Giorni Internazionale della Provincia di Cagliari", ideata da Gino Mameli, organizzatore appena eletto consigliere nel Comitato regionale della Fci, guidato da Angelo Fara. "Dino era davvero bravissimo nel ciclocross. In quegli anni c'era meno tecnologia, era tutto più acqua e sapone", ricorda il dirigente di Monserrato. Ussanese, Dino aveva cominciato a pedalare con Antonio Locci alla Fiamma Serdiana, poi da Giancarlo Locci al Velo Sport Elettrogas Pirri. Prima del passaggio da Junior lo prese Antonio Camboni al Gs Banca Popolare di Sassari Ozieri e gli fece fare il salto di qualità, portandolo a gareggiare nella Penisola - come più tardi avrebbe fatto, tra gli altri, con Giancarlo Saiu e Fabio Aru - e facendone apprezzare le qualità anche al commissario tecnico azzurro, Franco Vagneur.

Camboni vide in lui, che dominava le gare regionali, le doti per emergere. "È stato un peccato", racconta oggi senza mascherare la commozione. "Dino non era certo alto ma aveva una grande grinta. Aveva attitudini al ciclocross, ricordo che lo facevo alzare "a battisella" (sui pedali, ndr) per aiutarlo a rilanciare l'andatura e riposare un po' certi muscoli". Capì che doveva portarlo a gareggiare fuori dall'angusto ambito sardo: "Noi portavamo i ragazzi che dimostravano di avere le giuste attitudini alle gare in Lombardia, in Veneto. I ragazzi gareggiavano in prove affollate, si formavano meglio, misurandosi con realtà molto più evolute della nostra, in senso tecnico". E spesso quei ragazzi facevano bella figura. E vincevano: "Ricordo le parole degli amici come Armando Zamprogna, tecnico della Silvellese, quando vedevano i nostri atleti: voi sardi avete più grinta, mi dicevano". Nel corso degli anni, con le maglie gialloblù della Camboni Ozieri (poi divenuta Ozierese Camboni) gareggiarono venstendo anche la maglia azzurra atleti come Gigi Dessì, Marcello Seguro, Michele Frau, Massimiliano Cadelano, Giancarlo Saiu e infine Fabio Aru. Moi era tra questi e avrebbe potuto avere una bella parabola. Ragazzo fortissimo ed educatissimo: "Mai una parola sgarbata con nessuno", ricorda ancora Mameli, "veniva alle gare con il padre e la madre, educatissimo, quasi si vergognava di venire a ritirare il montepremi". Sono passati trent'anni da quando Moi vinceva tutto e si batteva anche nell'Isola contro i "mostri" della Cecoslovacchia. Sembra ieri.…
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