Potrebbe a buon diritto vantare - magari in condivisione - il merito di aver lanciato Fabio Aru verso la carriera ciclistica. Fausto Scotti, romano, 54 anni, commissario tecnico della Nazonale azzurra di ciclocross, ha conosciuto il corridore di Villacidro quando era sedicenne. Oggi, quasi quindici anni dopo, si è sentito in dovere di riavvicinarsi, intuendo il pericolo che, dopo tre annate a dir poco deludenti, Fabio potesse perdersi. Magari non imboccare la china di Marco Pantani - questo no - però scivolare sul pendio che porta a lasciare la bici. Perché se non ritrovi il piacere della sofferenza (ossimoro che i ciclisti conoscono bene), non riuscirai più a tornare a vincere. E alla fine molli. Per Fabio la chiave è stata il ritorno al ciclocross, la disciplina con la quale si era affacciato sulla ribalta nazionale da ragazzino. Tornare a gareggiare, magari vestire la maglia azzurra, più difficilmente partecipare al Mondiale (la Qhubeka-Assos non è favorevole all'impegno del 31 gennaio a Ostenda, troppo vicino al debutto su strada) sono cose che hanno risvegliato in Aru la voglia di rimettersi in gioco. Nel fango, contro specialisti che gli "danno la paga", per il gusto di esserci.

Scotti, cosa può dare Aru al ciclocross?

"Ha già dato tantissimo quando ha iniziato la sua carriera e adesso sta dando tanto sia al movimento, sia ai team, ai ragazzi e agli organizzatori che sono molto felici di averlo alle loro gare. Non nascondo che anche al settore tecnico sta dando tantissismo. A me dà tanta gioia, è tornato con il sorriso, è tornato la persona che tutti conosciamo".

Fausto Scotti, 54 anni, ct azzurro del ciclocross (foto C.A. Melis)
Fausto Scotti, 54 anni, ct azzurro del ciclocross (foto C.A. Melis)
Fausto Scotti, 54 anni, ct azzurro del ciclocross (foto C.A. Melis)

Cosa può dare invece il ciclocross a Fabio Aru?

"Credo che gli possa dare molto, moltissimo. Forza esplosiva, ossigenazione, morale, forza di volontà e, di nuovo, quel qualcosa di diverso che aveva all'inizio".

Cosa intende?

"Fabio è stato trasformato in un atleta che punti soltanto alle corse a tappe, invece secondo me è un atleta che può essere un fuoriclasse nelle gare di un giorno. E questo il ciclocross può darglielo. Lo sta capendo anche lui dai test che stiamo facendo, quanto riesce a sollevare il suo cuore. A livello cardiocircolatorio era una cosa che ultimamente non riusciva più a fare".

I raduni azzurri spesso si incrociano con l'attività delle società. Come si riesce a trovare un equilibrio?

"Credo che intanto per lui sia importante che sia felice di ciò che sta facendo, perché il lavoro che sta effettuando nel ciclocross se lo ritroverà subito, ai primi di febbraio su strada. Di questo sono sicuro, lo posso sottoscrivere. E credo che l'aver evitato di andare in ritiro a Tenerife in questa settimana (tutto era fermo, c'è perfino stato un uragano, non si sarebbe potuto allenare), sia tutto andato a suo vantaggio. Poi, facendo questo ritiro di una settimana con noi, facendo lavori specifici, sia su strada che fuoristrada, troverà subito un beneficio".

Fausto Scotti con Fabio Aru a Lecce (foto C.A. Melis)
Fausto Scotti con Fabio Aru a Lecce (foto C.A. Melis)
Fausto Scotti con Fabio Aru a Lecce (foto C.A. Melis)

Di sicuro non sarebbe stato competitivo, allora in che modo Aru avrebbe potuto sfruttare un'esperienza come quella di un campionato del mondo?

"Lo sappiamo che sinora abbiamo lavorato all'ingresso di Fabio per poter fare attività motoria. Logicamente in un mondiale Fabio non può fare grandi risultati, però di grande ci sarebbe la sua partecipazione che in Belgio e Olanda fa notizia e si sta parlando moltissimo sia della sua eventuale partecipazione al mondiale, sia all'ultima prova di Coppa del Mondo. Ma io non posso pensare di poterlo convocare in quattro e quattr'otto. Dovremo programmare i mondiali e capire se può venire ai mondiali. C'è una regola, quella dell'ottanta per cento, con la quale rischia di essere fermato durante la corsa. Partendo in ultima fila, con specialisti come Van der Poel, Van Aert, Vanthourenhout, su un percorso del genere potrebbe capitare. Ma questo a lui non nuoce. Arrivare lì, di fronte a una platea di ex corridori e commentatori che stanno dimostrando piacere ad averlo potrebbe solo fargli bene".

Spresiano 2008: chi era Fabio Aru?

"Vi racconto la storia. Io l'ho conosciuto quando era Allievo di secondo anno, in una gara organizzata a Modena da Paletti, alla quale lo aveva portato il suo direttore sportivo, Antonio Camboni, di Ozieri, grande scopritore di talenti. Mi parlava sempre di questo ragazzo, mi diceva, guarda, è magro come te, ha un grosso talento. Me l'ha spinto molto, ma sapete come è quando ti spingono tanto un atleta a volte non ci credi. Lo abbiamo guardato fare qualche gara e gli ho promesso che lo avrei portato in ritiro all'inizio dell'anno successivo".

E come andò?

"Lo abbiamo portato in ritiro e con lui c'erano corridori del calibro di Matteo Trentin, Marco Aurelio Fontana, Enrico Franzoi, Fabio Ursi, anche corridori Élite, gente che andava forte, che aveva appena fatto risultati nelle corse Under 23 più importanti, piazzamenti in zona podio al Giro della Val d'Aosta, che aveva una gran gamba. Ricordo che facevo partire prima donne e juniores, poi dopo quindici/venti minuti gli altri, in modo che si ritrovassero poi ad Ascoli per iniziare tutti assieme la salita. E ricordo che in salita non sono riusciti a staccarlo e quando gli dicevamo di attaccare, lui si vergognava perché sapeva di essere assieme ad atleti molto importanti. Da lì abbiamo capito che aveva un grande potenziale su strada, cosa che notavamo anche nelle gare di ciclocross. Non faceva grandissime partenze ma faceva rimonte impressionanti".

Come avvenne il passaggio su strada?

"L'abbiamo inserito nel progetto del Ciclismo Solidale e con la rappresentativa del Centro-Sud gli abbiamo fatta fare gare, tra le quali il Giro della Lunigiana. Lì abbiamo detto a Olivano Locatelli di andarlo a vedere (arrivò ventesimo, ndr) e lui l'ha preso con sé alla Palazzago, questo anche in simbiosi con Andrea Cevenini. Da lì ha cominciato a entrare nell'ambiente, con la squadra di Locatelli che è stato bravo a farlo emergere nella specialità che era più adatta a lui. Così gli abbiamo detto che nel cross sarebbe potuto andare con più tranquillità per puntare più sulla strada. All'inizio era dispiaciuto, poi ci ha ringraziato per aver mollato il colpo".
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