Una foto comparsa sui social il 17 ottobre subito diventa virale: un neonato strappa la mascherina al medico che lo ha appena fatto venire al mondo. Un'immagine splendida e scioccante che in un lampo ricorda a tutti come il Covid possa contaminare ogni cosa, ogni ambiente, e metta in pericolo anche chi annusa per la prima volta la vita. Sono trascorsi mesi da quando quell'immagine ha fatto il giro del mondo ed ecco che sui social compare la story dell'attrice britannica Sophie Turner che invitando tutti a indossare la mascherina rivela di averlo fatto lei stessa durante il parto. Così il concetto di maternità torna a sposarsi con quello della pandemia. Fin dalla scorsa primavera le restrizioni imposte per tentare di arginare i contagi hanno trasformato anche le fasi della gravidanza, del parto e le modalità con le quali le mamme si prendono cura dei propri piccoli. Massimo rigore deve essere imposto anche per le coccole dei parenti che, insieme all'amore, al nuovo arrivato possono involontariamente trasmettere il virus. Il comitato tecnico scientifico che periodicamente aggiorna le linee guida per affrontare la pandemia ha pubblicato un approfondimento dedicato proprio a questo problema chiarendo anche quale sia il modo migliore per una madre di accogliere il proprio bambino. Il primo studio risale alla fine di maggio ma due settimane fa è stato allegato un aggiornamento in cui sono illustrati i risultati di una ricerca condotta proprio per chiarire le conseguenze del virus sulla gravidanza.

"Tra il 25 febbraio 2020 (data del primo caso ostetrico in Italia) e il 30 settembre 2020 (data considerata di conclusione della prima ondata pandemica), in Italia: si sono registrate 875 gravidanze di donne positive al SARS-CoV-2; non è stata rilevata alcuna morte materna; tra le 875 gravidanze, 667 donne hanno partorito; il tasso di incidenza dell'infezione da SARS-CoV-2 nelle 667 donne che hanno partorito è pari a 2,9 casi per 1000 parti a livello nazionale e in particolare: 5,3/1000 nel Nord; 1,6/1000 nel Centro; 0,6/1000 al Sud; 8,9/1000 in Lombardia (che ha segnalato il 53% dei casi complessivi). Bisogna sottolineare che questa variabilità geografica rispecchia la diversa circolazione del virus nel periodo in esame ed è coerente con i dati dell'indagine di siero-prevalenza condotta dell'ISTAT in collaborazione con il Ministero della Salute", si legge cliccando sul link disponibile sul sito dell'Istituto superiore di Sanità.

Alla fine di maggio gli esperti del Cts consigliavano anche alle donne positive di non trascurare il contatto fisico con il bambino: "Per le donne COVID-19 positive il contatto pelle-a-pelle non è controindicato perché i suoi benefici per la salute del neonato, incluso l'avvio tempestivo dell'allattamento, superano i rischi potenziali della trasmissione e della patologia legata al COVID-19. Durante il contatto pelle-a-pelle e la prima poppata sono raccomandate le misure di prevenzione previste per i casi di positività COVID-19". Alla luce delle indicazioni pubblicate in primavera ecco i risultati dell'ultimo studio condotto in tutta Italia. "Le caratteristiche e gli esiti clinici delle 667 donne con infezione certa da SARS-CoV-2, pregressa o in atto, che hanno partorito sono simili a quelli descritti per la popolazione generale: la maggior parte ha sviluppato una malattia da lieve a moderata e solo il 2% della coorte è stato ricoverato in terapia intensiva; complessivamente il 18,6% delle donne ha sviluppato una polmonite interstiziale da COVID-19; la percentuale di parti pretermine ha riguardato il 13% delle gravidanze, quasi il doppio del tasso nazionale, ma il 71% di questi casi è attribuibile alla decisione di anticipare il parto e non alla sua insorgenza spontanea; il tasso di tagli cesarei è stato pari al 34%, e in linea con il tasso nazionale. Questo dato evidenzia come, anche durante la fase acuta della pandemia, i clinici abbiano saputo rispettare le raccomandazioni internazionali secondo cui l'infezione da SARS-CoV-2 non rappresenta indicazione al cesareo. Inoltre, le Regioni centro meridionali hanno mantenuto l'abituale maggiore proporzione di cesarei rispetto al nord del Paese; il 51% delle donne ha potuto avere accanto una persona di propria scelta durante il travaglio/parto; il 54% dei neonati è potuto rimanere accanto alla mamma, di questi il 27% ha praticato il contatto pelle-a-pelle; durante il ricovero il 69% delle mamme e dei neonati hanno potuto condividere la stessa stanza (rooming-in); il 76% dei neonati ha ricevuto il latte materno in modalità predominante, complementare o esclusiva".

Ma come stanno i piccoli? "Le condizioni di salute dei bambini che non sono stati separati dalle madri durante il ricovero non sono peggiori di quelle dei neonati allontanati alla nascita - scrivono ancora gli esperti -. Al 30 settembre 2020 si sono registrate 6 morti in utero e 1 morte neonatale non riconducibili al COVID-19 e nessuna morte materna. In Lombardia, che ha segnalato oltre la metà dei casi raccolti, confrontando i tassi di mortalità in utero e neonatale stimati durante la prima ondata della pandemia con quelli rilevati negli stessi mesi del 2019, non sono emerse differenze. Per concludere, i dati dello studio prospettico mostrano che, alla luce delle evidenze disponibili, la trasmissione del virus da madre a neonato sembra possibile ma molto rara e non influenzata dalla modalità del parto, dall'allattamento o dal rooming-in. Sul totale dei 681 neonati presi in esame solo 19, pari al 2,8%, sono risultati positivi al virus dopo la nascita e solo uno ha avuto complicazioni respiratorie risolte dopo ricovero in terapia intensiva".
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