Il New York Times ha scritto che potrebbe essere "la più grande acquisizione di diritti musicali mai avvenuta". Parliamo della vendita del catalogo di Bob Dylan alla Universal: circa 600 canzoni composte nell'arco di 60 anni e sparpagliate fra i 39 album pubblicati a suo nome e quelli di tanti altri artisti, per non parlare di singoli, compilation, bootleg, colonne sonore, spot pubblicitari. Nel mazzo ci sono canzoni che conoscono anche i sassi: da Blowin' in the Wind a Knockin' on Heaven's Door. Un patrimonio di diritti d'autore che, ha notato lo Wall Street Journal, ha come unico rivale quello dei Beatles. Senza contare che Dylan ha ancora la possibilità di scrivere e pubblicare nuova musica: e le canzoni future non rientrano nell'accordo.

La cifra concordata da Bob Dylan e la multinazionale non è stata resa nota ma nelle stime della stampa a stelle e strisce oscilla fra i 300 e i 400 milioni di dollari. Jody Gerson, l'amministratore delegato della multinazionale che ha comprato il glorioso catalogo, ha dichiarato che è «un privilegio e una responsabilità rappresentare l'opera di uno dei più grandi cantautori di tutti i tempi». Uno che con le canzoni ha vinto, e non si era mai visto, il premio Nobel per la letteratura.

NON UN CASO ISOLATO Perché vendere, se sei una leggenda? Dylan non è solo: tanto per restare negli Stati Uniti, quest'anno altri musicisti hanno preferito monetizzare anziché mantenere il controllo dei diritti del proprio repertorio. Si va da Stevie Nicks, che ha venduto l'80 per cento del suo catalogo alla Primary Wave Music per 100 millioni di dollari. E per cifre che non sono state rese note artisti come il cantautore Jack Antonoff, il cantante dei Blink 182 Tom Delonge, Barry Manilow, Chris Stein e perfino Debbie Harry, la bionda dei Blondie, hanno fatto altrettanto a vantaggio di una compagnia di investimenti in rapida crescita, la Hipgnosis Songs Fund. All'indomani dell'annuncio dell'affare Dylan-Universal David Crosby, anima dei Byrds prima e dei Crosby, Stills & Nash (più Young) poi, ha annunciato su Twitter che anche lui è intenzionato a vendere il suo catalogo: "Non posso lavorare", ha spiegato, "e lo streaming sta rubando i miei soldi. Ho una famiglia e un mutuo da pagare: devo prendermi cura dei miei cari, quindi questa è la mia unica opzione. Sono sicuro che anche altri siano nella mia stessa situazione".

DIRITTI D'AUTORE E NEW ECONOMY Roberto Razzini, della Warner Music Chappell, società che gestisce i diritti di tanti dei maggiori autori della musica leggera italiana, ha di recente raccontato in un libro ("Dal vinile a Spotify") come sia cambiato il mercato dei diritti d'autore in seguito alle mutazioni del modo di fruire della musica: se vent'anni fa chi mandava una sua canzone in testa alla hit parade riusciva a mettere da parte un congruo capitale per sé e i suoi figli, oggi un successo da milioni di ascolti sulle piattaforme digitali garantisce entrate ben più magre. Gestire i diritti significa ormai battersi faticosamente contro le potentissime aziende della new economy per ottenere briciole: trattative in cui una società strutturata e dotata di un ufficio legale pesante ha ovviamente più potere contrattuale del singolo artista. In quest'ottica, monetizzare può avere un senso: soldi subito, e meno grane.

INVESTIMENTI E FISCO D'altra parte, per molte società di investimento acquisire diritti d'autore è un modo per diversificare il proprio portfolio: finanziariamente si tratta di opportunità d'investimento interessanti, il cui valore ha dimostrato di non essere soggetto ai repentini cambiamenti del mercato azionario. Goldman Sachs di recente ha stimato che i proventi da diritti musicali raddoppieranno da qui al 2030. In più c'è un aspetto di cui tener conto: le tasse. Mentre gli introiti annuali del copyright negli Usa sono considerati e tassati come redditi, i 300 o 400 milioni di dollari che il signor Zimmerman incasserà dalla Universal per il fisco statunitense sono una plusvalenza, un guadagno in conto capitale. L'aliquota è decisamente inferiore, e il risparmio, per il cantautore, può essere stimato in termini di vari milioni.

IL FATTORE EREDITARIO Non solo: a quasi 80 anni (li compirà il prossimo 24 maggio),con due ex mogli e sei figli, per Dylan può aver contato anche, in prospettiva, la semplificazione delle procedure di successione. Un capitale monetizzato è più facile da dividere fra gli eredi, evitando conflitti e litigi come quelli avvenuti dopo la morte del suo caro amico e sodale musicale Tom Petty. Un esempio che può aver inciso sulla decisione del più grande cantautore di tutti i tempi.
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