Sarà ricordata sicuramente con una canzone la sciagura che in questi giorni sta affrontando la gente di Bitti. Farà da strofa per i canti a tenore, che da qui hanno fatto il giro del mondo e reso celebre la tradizione musicale dei pastori. Versi sulla pioggia e sul fango, sui fiumi e sui sassi. Ma di certo qualche rima sarà anche dedicata a tutto quello che di Bitti in questi giorni si è raccontato poco. Perché le immagini delle tv e le foto sui giornali si sono concentrate a ritmo continuo su ciò che alla gente faceva più paura. Sugli effetti devastanti di una bomba che ha sventrato il paese e sulle storie di chi non è riuscito a mettersi in salvo. È il resoconto standard, quasi da manuale, nel momento del dolore e delle lacrime, nei giorni della preoccupazione per le case devastate e per i danni ancora difficili da calcolare.

Ma a circolare tra le strade sventrate, provando a entrare nelle abitazioni messe a soqquadro, s'incontra facilmente un'altra Bitti. Quella che persino nel giorno del ciclone non si fa scappare una parola di rabbia, che cede poche volte alle lacrime e che sfrutta pure l'occasione più tragica per rinforzare i legami di comunità.

Non è questa la solita e semplice solidarietà dei sardi. Ne è parte, certo. Il resto, però, è una forza che non si capisce bene da dove nasca. Un mix di coraggio e ironia, di solidarietà e resilienza. "In questi giorni ci sentiamo tutti una grande famiglia - dice Alessandro Mele, un giovane universitario che sposta i sassi con una piccola ruspa - Chi è qui a darci una mano fa parte della nostra casa. E il fatto di essere in tanti ci dà la certezza che ce la faremo anche questa volta. È già successo, Bitti si è sempre ripresa e ha ritrovato il ritmo di sempre. A salvarci è anche il sorriso".

Insieme all'ingegno, persino eccessivo agli occhi dei tecnici della Protezione civile che vorrebbero coordinare i soccorsi ma che non fanno neanche in tempo a studiare un piano e a coordinare le squadre. Perché la gente di Bitti si è già organizzata senza fare un briefing. Sono arrivati mezzi da tutti i quartieri, dalle aziende più lontane. Sono tornati quelli che abitano fuori e tutti si sono improvvisati in un lavoro che non avevano mai fatto. "Ci sono troppe ruspe - dicono a un certo punto i tecnici di Forestas - Nelle strade non c'è neanche lo spazio perché possano operare tutte". Ma qui la parola d'ordine è una per tutti: "Fare in fretta, provare a voltare pagina e a ricominciare la vita di sempre".

Nella piazza dedicata a Giorgio Asproni, il politico che ha dato lustro alla storia del paese, gli zampilli della fontana non si fermano mai ed è questa la sola immagine sopravvissuta del centro storico. Mentre le ruspe danno l'assalto alla barriera di pietre innalzata dalla fiumana, c'è chi prova a rendere la giornata un pochino più normale. Di domenica mattina, con la ferita ancora fresca, compaiono persino le frittelle. "Anche in questi momenti noi siamo ospitali, ci fa piacere che tutti si sentano a casa".

Il titolare del "Bar Pigozzi" lascia aperta la saracinesca: il bancone è pronto, ma la cassa non c'è. Non serve: perché in questi giorni nessuno deve pagare. Chiunque, però, può chiedere. "Quando non ci sono io, saranno i miei amici a sostituirmi - dice il titolare - Quello che abbiamo, anzi quello che ci è rimasto, è bello da condividere". Sul tavolino c'è una bottiglia di Vov e pure una di "abba ardente": nei momenti di pausa, dopo ore di fatica con i piedi nella melma, inizia il giro dei bicchierini. Ma è solo un piccolo break, perché non c'è davvero tempo da perdere in questa sfida al fango che comincia a seccarsi in un giorno di sole inatteso.

Il market, intanto, tira fuori le casse di arance e mandarini. A servire i clienti improvvisati, tutta gente che spala fango e che deve rinunciare al pranzo, c'è una ragazza che non lavora qui. Non conosce i prezzi ma sa usare il registratore di cassa: "Basterebbe anche un'offerta. L'importante è che ci sia qualcosa da mangiare per tutti". La tabaccaia regala le ricariche telefoniche alle anziane che hanno esaurito il credito del cellulare, le casalinghe tirano fuori brocche di caffè caldo e i ragazzini s'incaricano di distribuire i tramezzini. Ce n'è uno per tutti: per chi si sta spaccando la schiena e per chi aspetta il proprio turno, per i soldati e per i vigili del fuoco, per i primi curiosi e per i cameraman. Nella casa della gioielliera, al primo piano di una palazzina che si affaccia su via Sardegna e via Brigata Sassari il fango è arrivato fino alla cucina. Il ciclone è piombato al momento della colazione e sul tavolo sono rimasti i biscotti. "Se avete fame sono a vostra disposizione, avevo appena aperto il pacco". In fondo alla strada, dove i canali tombati sono esplosi come mine e dove l'acqua continua sempre a scorrere, i volontari non si sentono soli. Anche quelli che non si conoscono, che sono arrivati senza compagnia o da molto lontano. Ecco i panini con la salsiccia ed ecco i malloreddus al sugo. Poi è il momento del vino. "Oramai il maltempo ha già fatto un grande danno - riflette Margherita - Se affrontassimo questa situazione senza concederci un sorriso o un attimo di pausa per scherzare non risolveremmo né meglio né più velocemente il nostro dramma".

I compaesani di Mialinu Pira sono fatti così: fatica e ironia, coraggio e voglia di sorridere. "In questi momenti noi bittesi diamo il meglio, siamo abituati a non arrenderci", dicono gli anziani che provano a dare una mano ai compaesani che puliscono le strade: "Lo sanno tutti, persino quelli dei paesi vicini, che noi siamo grandi lavoratori, intraprendenti e tenaci". Qualcuno, insomma, approfitta per una risata e con la pala in pugno prova ad attizzare nuovamente le solite guerre di campanile. Ma non bastano le battute, perché qui a vincere è la solidarietà: arrivano i panini da Olbia, mentre da Oristano chiamano per sapere cosa può essere utile. Di continuo si scaricano scorte di acqua e di cibo raccolte in ogni angolo di Barbagia, ma anche nel Sassarese e nel Cagliaritano. I cronisti che vorrebbero portare a casa il pezzo sui bittesi arrabbiati ci provano in ogni modo (e sempre invano) a stuzzicare le proteste. Inutile, totalmente inutile, aizzare la gente di fronte al microfono. Ma ad alzare la barriera è sempre il sindaco, quello a cui oggi i compaesani affiderebbero nuovamente le chiavi del municipio: "Non vogliamo accusare nessuno, non abbiamo intenzione di prendercela con qualcuno: vogliamo semplicemente liberare le strade e le case per ripartire. Come sempre abbiamo fatto. Non temiamo di rimanere da soli, non ci preoccupa che dopo tutta questa solidarietà qualcuno si dimentichi di noi. Perché noi non ci sentiamo mai soli: siamo tutti insieme, sempre. Non basterà il ciclone a cambiare il nostro carattere".
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