Una battuta in questi giorni spopola sul web: "Maestri e professori impegnatevi: i bambini che oggi studiano con la didattica a distanza sono i medici che vi cureranno tra vent'anni". In realtà non esistono ancora studi specifici che dimostrano l'eventuale perdita di apprendimento dei bambini a causa della chiusura delle scuole e l'avvio della didattica a distanza (Dad), ma ne esistono precedenti che invece hanno dimostrato quanto l'ambiente scolastico possa favorirlo. Uno studio del professore di Economia Simon Burbess dell'Università di Bristol, intitolato "Schools, skills, and learning: the impact of Covid-19 on education", dice ad esempio che dieci giorni di apprendimento in ambiente scolastico bastano ad aumentare in maniera significativa l'intelligenza "cristallizzata" ovvero la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite.

È uno degli studi presi in esame dal Comitato nazionale di Bioetica che, all'inizio di novembre, ha pubblicato un parere intitolato "Covid-19 e bambini: dalla nascita all'età scolare".

Un parere in cui si evidenziano, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, le specifiche ripercussioni indotte dalla pandemia sugli aspetti sanitari e sociali dell'universo infantile. È stato redatto dai professori Lorenzo D'Avack, Mario De Curtis, Giampaolo Donzelli, Lucio Romano e Grazia Zuffa, con i contributi dei professori Stefano Canestrari, Anna Gensabella, Laura Palazzani e alla cui elaborazione ha contribuito l'audizione, il 25 settembre 2020, del professor Alberto Villani, presidente della Società italiana di Pediatria e componente del Comitato scientifico nazionale Covid-19.

Si parte dall'assunto che la pandemia, nella sua rapida e drammatica diffusione, richiede il ricorso a provvedimenti a salvaguardia della salute di ogni singolo cittadino e nell'interesse della collettività. L'interesse dei minori viene definito un criterio etico-giuridico fondamentale per la valutazione del rapporto benefici-rischi delle misure di contenimento della pandemia e l'auspicio è che questo parere possa essere di aiuto a chi sta gestendo le varie fasi dell'emergenza di cui, per ora, non si vede la fine.

Dopo un'approfondita parte in cui i professori analizzano i molteplici interrogativi e le varie criticità per le gestanti e le profonde ripercussioni sulla complessa unità psicofisica materno-feto-neonatale, il parere si concentra sui bambini in età prescolare e scolare che, a partire da marzo, sono stati posti, così come è accaduto per gli adulti, di fronte all'incubo coronavirus.

L'analisi prende prima di tutto in esame la questione al punto di vista sanitario: la letteratura scientifica in materia (sono state esaminate 45 pubblicazioni) evidenzia che i bambini non sono immuni al Covid-19 sebbene rappresentino soltanto l'1-5 per cento dei casi diagnosticati di infezione. Un dato però sottostimato poiché la maggior parte dei bambini è asintomatica e, salvo precedenti patologie, i più piccoli possono negativizzarsi prima ancora che ci si accorga che abbiano contrato il virus. Tuttavia la carica virale nella fase della positività al virus non va sottovalutata perché può essere pari a quella degli adulti. Ma il Covid, dal quale vanno quindi protetti esattamente come avviene per gli adulti, non è l'unico problema.

Le principali problematiche sanitarie dell'infanzia, oggi sono dovute al fatto che, nel periodo del lockdown, molti bambini e in particolare quelli con malattie croniche, disabilità patologie rare, non sono stati adeguatamente seguiti. È prevedibile trovare nei prossimi mesi un aggravamento delle loro condizioni. Un problema che riguarda anche gli adulti del resto. Secondo i dati dell'Associazione Italiana di oncologia medica, ad esempio, durante il lockdown circa il 20 per cento dei pazienti con tumore non si è presentato alle visite di controllo e circa 1 milione e 400mila italiani non ha effettuato lo screening secondo i protocolli di prevenzione. Tutto questo non fa che mettere a rischio la continuità delle cure e, tornando ai più piccoli, c'è anche un altro dato che preoccupa: tanti bambini nei mesi scorsi non hanno praticato le vaccinazioni raccomandate per la chiusura impropria di molti centri vaccinali ed anche per la paura dei genitori di contrarre l'infezione recandosi in queste strutture. Tutto questo non fa che rendere possibile che malattie, come ad esempio il morbillo, possano ripresentarsi in forma epidemica.

La preoccupazione degli esperti riguarda poi l'aspetto psicologico. L'isolamento che si è reso necessario per contrastare la diffusione del virus ha stravolto le vite degli adulti, determinandone un profondo cambiamento che sui bambini ha avuto un impatto profondo. Per capirlo basta per un istante tornare con la mente ai primi giorni del marzo scorso quando, con l'improvvisa chiusura delle scuole, i bambini si sono ritrovati chiusi nelle loro case, costretti a un complesso mutamento nelle loro abitudini quotidiane e a un taglio netto dei loro rapporti sociali, delle attività sportive, del gioco all'aria aperta. I primi giorni poteva forse sembrare una vacanza, un gioco, una curiosa novità, ma poi le settimane sono passate e sono diventate mesi. Inevitabili, per tanti bambini, le ripercussioni sulla salute psicofisica quando da un giorno all'altro si sono persi riferimenti importanti come la scuola, gli amici, i nonni. Non tutti sono stati capaci di un recupero di stabilità emotiva al termine dell'isolamento forzato. E mentre si cercavano di affrontare le conseguenze della chiusura delle scuole, ecco le problematiche connesse alla riapertura e alla didattica a distanza (DAD), foriera di mille criticità, in particolare il divario digitale (digital divide), ossia il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie necessarie e chi ne è escluso in modo parziale o totale anche a causa delle difficoltà di molte famiglie a supportare i figli.

Ma se anche tutti avessero accesso agli stessi strumenti il problema non sarebbe risolto. Ogni percorso di apprendimento, soprattutto nella scuola primaria, ha bisogno di una componente interattiva che difficilmente la didattica a distanza potrà compensare. Su questo gli esperti sono molto chiari: "l'insegnamento e l'apprendimento - scrivono - non sono una semplice trasmissione e acquisizione di nozioni, ma fanno parte del processo educativo, attraverso il confronto, il dialogo, l'interazione: condizioni per la crescita intellettiva e la maturazione emotiva. Questa pandemia sta dunque mettendo a rischio l'istruzione che è ritenuta un fattore importante di crescita personale e sociale".

Sette le raccomandazioni con cui si chiude il parere: Prima di tutto il richiamo ai principi di precauzione (a fronte della rapidità e imprevedibilità della trasmissione virale) e di responsabilità inteso come impegno a tutelare i più vulnerabili. Secondo, il Comitato chiede di ridurre al minimo indispensabile le misure che più ricadono sui bambini con conseguenze negative e, terzo, si chiede di porre la scuola al centro della vita del Paese, delle sue scelte e dei suoi investimenti: si riapra non appena le condizioni lo consentono per non perdere altro tempo prezioso.

Quarto, arriva l'auspicio che venga garantito alle famiglie e agli operatori scolastici un'adeguata informazione e partecipazione alle decisioni che li riguardano. Infine, gli ultimi tre punti invitano a promuovere una ricerca multidisciplinare sulla salute del bambino nell'ambito della pandemia Covid-19, consigliano particolare cura e supporto psicologico ai minori, soprattutto quelli con disabilità o provenienti da situazioni familiari critiche e, infine, c'è un richiamo a un'educazione alla responsabilità nei confronti della salute individuale e della salute pubblica.
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