Chi più spende, meno spende. Il fin troppo abusato proverbio, che esorta ad acquistare beni più costosi perché si presume che siano di qualità maggiore (e non sempre è vero), sta per cambiare significato. Già, perché lo Stato vuole trasformare ogni cittadino, senza che se ne accorga, in un agente delle tasse semplicemente facendo in modo che ogni singolo consumatore obblighi commercianti, medici specialisti, artigiani e chiunque svolga prestazioni a pagamento, a rilasciare una ricevuta fiscale. E, quindi, a pagare le tasse, in modo che questo peso non tocchi soltanto a chi non può evadere, a partire dai lavoratori dipendenti.

L'idea è semplice ma geniale, con l'unico difetto di essere stata diffusa con un nome assai poco comprensibile per chi non conosce l'inglese. Si chiama "cashback", significa pressappoco "ritorno dalla cassa". Il via dal primo dicembre, con sei mesi di sperimentazione durante i quali, però, i soldi sono veri, non quelli del Monòpoli. Di fatto, il ministero delle Finanze premia chi utilizza per i pagamenti la carta di credito, di debito o prepagata, o il bancomat: perché sono pagamenti tracciabili, nel senso che lasciano tracce. Se sul conto corrente bancario (o postale) dell'imprenditore che fornisce il bene acquistato o presta un servizio compare un pagamento con carta di credito, nasconderlo al fisco diventa impossibile. Ne discende che chi ha incassato, su quella cifra dovrà necessariamente pagare le tasse. Senza dunque costringere gli altri a pagare le proprie e anche le sue.

E qual è il premio per il cliente, che deve vincere la timidezza di fronte al commerciante, artigiano o professionista e reclamare lo scontrino fiscale, se non gli viene dato? Siccome non è facile, infatti pochi lo fanno soprattutto dopo essersi sottoposti a una visita dal medico specialista, dal Governo è arrivata un'idea semplice, presa a prestito da alcune banche emittenti di carte di credito: se si acquista da aziende convenzionate con la banca, si ottiene il cashback. Che cos'è? Una parte della spesa, può essere l'uno o il dieci per cento, è restituita dall'istituto, che lo ricarica sulla carta. Sono soldi che si possono spendere in altre transazioni.

Lo Stato fa lo stesso, ma su scala totale: qualunque pagamento facciamo con il denaro elettronico finisce in una lista sulla quale sarà calcolato il nostro "cashback", cioè il denaro che ci sarà restituito come bonus. Premiati, insomma, se facciamo pagare le tasse agli altri, quindi premiati due volte: con i soldi del "cashback" (il 10%) e con l'abbassamento (auspicabile, senza certezze) dell'aliquota fiscale grazie al maggiore gettito che l'uso del denaro tracciabile - com'è quello elettronico - consente. I negozianti hanno la possibilità di utilizzare il Bonus Pos: garantisce un credito d'imposta per il parziale rimborso delle commissioni che pagano quando noi usiamo il Pos, cioè il dispositivo che si legge la carta (con o senza contatto fisico tra carta e lettore: non fa differenza).

Precisato che il cashback non richiede una spesa minima, quindi aumenta anche se usiamo la carta di credito per pagare un caffè al bar, è in palio - sì, di fatto è un gioco a premi - un compenso per i cittadini che utilizzano maggiormente i pagamenti elettronici a partire dal primo dicembre. Lo scopo, ovviamente, è incentivare il passaggio dal pagamento in contanti a quello elettronico, in modo da combattere l'evasione fiscale da parte di chi incassa e il rischio di smarrimento, furto o rapina dei contanti per quanto riguarda il "pagatore". In tutto questo discorso, non bisogna dimenticare che, a luglio, il tetto per il pagamento di una cifra in contanti è stato abbassato da tremila a duemila euro. È solo l'antipasto di quanto avverrà col passaggio al 2022: si potranno utilizzare le banconote per pagare al massimo mille euro.

Il denaro deve dunque essere elettronico, per partecipare a questa comunità del rimborso con il "cashback", e non ha alcuna rilevanza se utilizziamo la carta fisica (quella di plastica contenente il microchip, quindi materiale) o se ne usiamo i codici: l'importante è che la cifra che spendiamo in ogni singolo negozio comporti una transazione attraverso la carta di credito. Dunque, per transazioni veloci soprattutto in un periodo di pandemia come quella causata dal virus Covid-19, si possono utilizzare anche Google Pay, Samsung Pay, Bancomat Pay o Apple Paym oltre che Paypal: noi non tocchiamo la carta, il commerciante nemmeno, ma la transazione avviene comunque.

Attenzione, però: non pianificate di spendere - con la carta di credito - centomila euro in un anno, magari in un colpo solo acquistando un'auto di lusso, per vedervene accreditati diecimila. Le cose non stanno così, tutt'altro: ci sono limiti di importo e un numero minimo di transazioni da compiere, per poter accedere al rimborso.

Cominciamo con il tetto: si dice, semplificando, che sia di tremila euro l'anno, il che garantirebbe un rimborso fino a trecento euro l'anno (il 10%), ma in realtà la partita si gioca sui semestri: 1.500 euro a semestre è il tetto minimo per incassare il massimo, cioè 150 euro per sei mesi. E si può ovviamente fare due volte l'anno.

Non con poche operazioni, però, considerato che lo scopo del "cashback" è far pagare le tasse a chi ci vende qualcosa, quindi lo Stato richiede un'operazione decisamente più a tappeto: compreso il caffè al bar, per schiantare le microevasioni (anche di un euro di imponibile alla volta) ripetute decine di volte al giorno. Dunque, lo Stato ci chiede di compiere almeno cinquanta operazioni a semestre, con il denaro elettronico, per poter accedere al dieci per cento pieno di rimborso su un tetto massimo di 1.500 euro a semestre.

Poi c'è il "Supercashback". Il rimborso formato Super è conteggiato per anno solare e premierà con ulteriori tremila euro i primi centomila cittadini che effettueranno il maggior numero di transazioni elettroniche in un anno. Questo, per incentivare l'utilizzo del denaro nelle piccole transazioni che - come già detto - sono quelle che più spesso avvengono senza il rilascio di una ricevuta o di uno scontrino fiscale. Dunque, possiamo immaginare già certe colazioni composte da cappuccino, bicchiere d'acqua e cornetto consumati in tre diverse riprese dalla stessa persona, che andrà alla cassa per tre volte, totalizzando così tre operazioni con una spesa di circa 2,50 euro.

Stessa ratio è alla base del cosiddetto "supercashback" (si veda Il Sole24 Ore di venerdì scorso) che premierà con 3.000 euro i primi 100mila cittadini che effettuano il maggior numero di transazioni elettroniche in un anno. Carte e bancomat hanno tetti di spesa e quindi, per tentare di entrare tra i "magnifici centomila" in corsa per il maxi-premio da tremila euro, sarà necessario iniziare a utilizzare la carta anche per piccole transazioni, come appunto pagare i caffè.

Vale anche per i pagamenti su Internet, questo discorso? No, non è così: vale per i pagamenti nei negozi fisici, perché in questo modo s'incentivano i consumatori a tornare nelle botteghe e ad acquistare materialmente, portando via la merce comprata, nelle attività commerciali già schiacciate dai colossi dell'e-commerce come Ebay e Amazon. Dal canto loro, i commercianti riceveranno un credito d'imposta del 30% per quanto riguarda le commissioni pagate per le transazioni con la carta di credito. L'unica condizione per il negoziante è un fatturato annuo fino a quattrocentomila euro, e se lo supera non avrà quel credito d'imposta. Tutto questo, per clienti e commercianti, senza fare nulla: a tenere i conti, ci pensa lo Stato. Il che, non sempre è una garanzia, ma ci dobbiamo fidare.
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