La guerra dei colori nasconde il pasticcio dei numeri. Ce ne sarebbero persino troppi, ma il guaio è che spesso non sono omogenei. Arrivano in ritardo, con metodi arcaici, con troppi errori e spesso calcolati su parametri differenti. L'arma più spuntata che l'Italia sta mostrando di avere nella lotta alla pandemia è proprio la capacità di misurazione del fenomeno. La statistica evidentemente non è la forza delle Regioni, che ogni giorno dovrebbero analizzare con precisione il numero dei positivi, gli indici di contagio e la potenzialità del rischio. Lo fanno sì ma in maniera approssimativa, con lentezza e senza rispettare un metodo lineare. Mentre i governatori protestano per la classificazione cromatica, i sistemi sanitari locali dimostrano quanto sia ampio il digital divide tra una zona e l'altra d'Italia. Se la ricerca scientifica procede celermente nella caccia al vaccino, la statistica è ancora ai primi passi. Tra computer rotti e dati trasmessi via fax all'Istituto superiore di sanità, una cosa pare certa: il vero tasso di contagio del Covid nel nostro Paese ancora non si conosce con esattezza. Il grande pasticcio Le scelte del governo, che in questi giorni ha diviso l'Italia in zone rosse, arancioni e gialle, derivano ovviamente anche da questo: dalle informazioni che le aziende sanitarie locali inviano agli assessorati regionali e che da qui devono essere trasmesse subito alla Protezione civile e al Ministero della Salute. Tempi e mezzi, però fanno la differenza.

"Già la prima classificazione delle Regioni ci ha lasciato un po' perplessi", scrive il collettivo di ricercatori StatGroup-19, nato proprio per studiare l'epidemia. "La Valle D'Aosta riportava un Rt compreso tra quasi zero e circa 4, il Molise tra meno di 1 e quasi 3,5. Analizzando il grafico ci siamo chiesti come fosse possibile usare un indicatore così variabile, le cui stime nascono da modelli ignoti: in questi casi se si cambiano le premesse, cambia anche il risultato". "Affrontiamo la pandemia con gli strumenti della peste del Manzoni", sostiene invece Corrado Crocetta, presidente della Società italiana di statistica. E Fabio Sabatini, economista de La Sapienza rincara la dose: "Stiamo dimostrando di avere una benda sugli occhi". Il disordine delle Regioni Prendendo come esempio un sistema sanitario già finito al centro delle polemiche, commissariato e ora completamente in tilt, viene facile capire come si sia innescato questo grande pasticcio. Per trasmettere a Roma le informazioni, la Calabria utilizza il fax. "Metodo cartaceo o semiautomatico", ha spiegato in un convegno Silvio Brusaferro, presidente dell'Iss. Qualcuno usa il foglio excel, ma senza poter contare su un modulo standard. Non esistono neanche regole precise su cui basare le statistiche dei ricoverati: sui pazienti in terapia intensiva non è chiara quale sia la situazione in tutte le regioni, perché c'è anche chi scorpora i ventilati dai "non intubati", finendo così per falsare il quadro finale. La Campania, dove il governatore impreca da giorni contro il governo, registra "un forte ritardo di notifica dei dati" e questo secondo l'Istituto superiore di sanità li rende "inaffidabili". "Dati incompleti" anche in Liguria e nella provincia di Bolzano. La Valle d'Aosta non li ha inviati per tre settimane. I principali parametri di rischio del Veneto sono "non valutabili perché c'è stato un blackout telematico di tre giorni": una situazione che il presidente Luca Zaia liquida come "un inghippo informatico". D'altronde, aggiunge il governatore leghista, "è sempre un casino con questi computer". Lo studio degli statistici La gestione dei dati sembra importante quanto la ricerca di laboratorio e a questo hanno dedicato un'analisi tre super esperti della Società italiana di statistica: Flavia Carle, docente del Dipartimento di Scienze biomediche dell'Università delle Marche, Giovanni Corrao, professore del Dipartimento di statistica e metodi quantitativi dell'Università di Milano-Bicocca, e Cristina Montomoli, del Dipartimento di sanità pubblica dell'Università di Pavia: "Le difficoltà più importanti sono almeno due: l'estrema eterogeneità dei sistemi informativi sanitari e la disomogeneità dei primi dati disponibili, cioè quelli relativi ai casi registrati. Le pratiche di diffusione dei tamponi sono differenti tra regioni e per di più cambiano continuamente. Inoltre, abbiamo scontato il ritardo con cui è stata avviata la ricostruzione della rete di trasmissione dell'infezione. Ciò è conseguenza anche della limitata presenza di professionisti con specifiche competenze epidemiologiche nei servizi sanitari territoriali italiani".

I dati mancanti Sui tamponi regna il fai-da-te. Nessuno è in grado di sapere se nel totale dei positivi ci sono anche i test ripetuti più volte sulla stessa persona. E non è chiaro a quale periodo si riferiscano i positivi annunciati giorno per giorno. Pure sulla scuola, secondo quanto denunciano gli statistici, si sa poco o nulla: quanti sono i bambini e gli insegnanti che hanno preso il Covid in aula? Qual è il tasso di contagiosità tra i banchi? Poco chiare sembrano anche le informazioni sulle terapie intensive, un dato che dovrebbe essere tenuto in costante considerazione per valutare la tenuta del sistema sanitario: al di là del saldo giornaliero, quanti entrano ed escono? Perché a volte i numeri si riducono? I pazienti guariscono o muoiono? L'errore fatale Anche senza il vaccino, questa è l'analisi finale di tutti gli esperti, sarebbe stato possibile contenere maggiormente l'avanzata del virus. Che invece è largamente incontrollata. La ragione è semplice: gli studiosi non hanno avuto le informazioni necessarie per provare a sbarrargli la strada al Covid: "Nel corso della pandemia - aggiungono i professori Carle, Corrao, Montomoli - abbiamo visto molti dati, ma disponiamo tuttora di poche e inconsistenti conoscenze. Questo ancora una volta ci dimostra che a mancare non è la cultura del dato ma la consapevolezza che il dato è una componente necessaria del processo scientifico che genera conoscenza". Il danno che il caos innescato dalle Regioni sui numeri lo sintetizza bene Francesca Perucci, capo della Divisione di statistica dell'Onu: "Avere a disposizione dati più precisi omogenei e disaggregati non è solo utile per la ricerca. Ma è utile per salvare tante vite umane".
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