Si potrebbe azzardare una scommessa: l'Oxford Dictionary la sceglierà come "parola dell'anno 2020" e l'esperienza del lockdown causa Covid giocherebbe per questa incoronazione un ruolo significativo; ma anche se questo non dovesse accadere, val la pena di raccontare l'inarrestabile ascesa della parola resilienza nel nostro dizionario. Fino a farla diventare termine di moda, balsamo alle situazioni di difficoltà, ombrello sotto il quale organizzare un festival. Fermatevi un istante e andate indietro nel tempo di una decina d'anni. Quante volte avete sentito la parola resilienza? Prima che il termine cominciasse a frequentare i media, l'interesse era solo specialistico. Si legge nel dizionario online Treccani alla voce resilienza: 1) Nella tecnologia dei materiali, la resistenza a rottura per sollecitazione dinamica, determinata con apposita prova d'urto: prova di resilienza; valore di resilienza, il cui inverso è l'indice di fragilità. 2) Nella tecnologia dei filati e dei tessuti, l'attitudine di questi a riprendere, dopo una deformazione, l'aspetto originale. 3) In psicologia, la capacità di reagire di fronte a traumi, difficoltà, ecc.

Progressivamente, però, il concetto di resilienza ha dilatato i suoi confini, ha moltiplicato l'uso, adattandosi all'esigenze del tempo, proprio come accade a una lingua viva, che si piega a nuove consuetudini.

Come tanti termini del nostro dizionario ha una radice latina: parola e aggettivo (resiliente) vengono dal latino resiliens, participio passato di resilere, che significa "saltare indietro"; si parla quindi di un qualcosa che rimbalza, che reagisce. Sono qualità utilizzate dalla fisica e dall'ingegneria nella scienza dei materiali: il loro "saltare indietro" non è altro che la capacità di resistere a un'onda d'urto senza spezzarsi, riprendendo poi la forma originaria. Stesso discorso vale per i tessuti che si allungano, senza sformarsi. In questa accezione il termine veniva utilizzato in Italia già nel Settecento.

In psicologia invece la resilienza è la capacità di reagire a un trauma. Un dolore profondo, un lutto, una terribile menomazione ci possono sopraffare, oppure possono diventare l'occasione per cominciare la risalita mettendo alla prova il nostro essere caparbi, adattabili, saper trovare passione e entusiasmo anche quando sembra tutto buio. In una parola, riprendere a vivere. Se c'è una persona che ha incarnato (e speriamo possa incarnarla ancora) l'idea più alta di resilienza è il pilota Alex Zanardi. Nel parlare quotidiano, sono gli inglesi a usare la parola "resilience" in senso figurato col significato di "capacità di recupero", "elasticità". I tedeschi usano "Elastizität" per esprimere lo stesso concetto, ma se pensate al romanesco "m'arimbarza", per dire che mi torna indietro, non mi interessa, non mi colpisce, i conti tornano. Ma è in questo complicatissimo anno che si registra un'impennata della parola resilienza. Non più solo termine tecnico, poi sconfinato in un'ampia dimensione spirituale. Oggi non c'è manager o economista o analista finanziario che non usi nelle sue riflessioni la parolina magica.

L'esempio più lampante viene dalla Commissione europea che l'ha inserito fra le priorità della sua politica economica. Anche il Recovery Fund, il grande piano di rilancio economico proposto dall'esecutivo comunitario per fronteggiare la pandemia di Covid 19, è stato ufficialmente battezzato "Recovery and Resilience Facility". Per ottenere i fondi, ciascun paese dovrà presentare i "Recovery and Resilience Plans" in cui si tracciano le linee guida per risollevarsi dalla crisi (saltando indietro?).

Diciamo che resilienza ha un po' occupato lo spazio che prima era del termine sostenibilità. Di fatto annacquandosi. Ma tant'è. In suo nome si promuovono festival, uno dei quali si svolge da sei anni, quindi da tempi non sospetti, in Sardegna, a Macomer. Obiettivo: mettere in connessione realtà virtuose con territori in difficoltà. Poi c'è quello in condominio tra Milano e Bologna Un po' di resilienza fa sempre bene...
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