Provocatorie, affascinanti. Scandalose, tenere. Intriganti. Le donne di Egle Picozzi lasciano il segno.

Ama definirle "Perfettamente imperfette" e attraverso il suo obiettivo le spoglia da tutto il superfluo restituendo, a chi guarda, un racconto di vita profondo, accarezzato da una luce senza tempo e al di sopra di ogni giudizio.

Le sue donne sinuose, adagiate al centro di teatrini barocchi, accolgono lo sguardo di Egle nella pace delle loro storie, dei loro drammi, della loro personalità. Pure, catturate da uno sguardo soave che intrappola la loro anima, la racconta, la spoglia con dolcezza.

"Amo le donne -sorride Egle -sono delle creature stupende, soprattutto nelle loro imperfezioni, è proprio questa loro diversità che mi attrae, mi incuriosisce, mi porta a scoprire la loro essenza".

Sono quasi tutte oristanesi le dame di Egle. Attraverso le curve dei loro corpi mostrano ferite, sofferenze. Raccontano il loro essere lì, senza veli, senza paure. Disponibili e disarmate dalla sensibilità di una giovane fotografa che, con amore e coraggio, riesce ad entrare nel profondo del loro sentire.

"Ogni corpo ha tanto da raccontare - spiega Egle - con le "mie" donne creo un feeling bellissimo che mi permette di penetrare la loro intimità, di percepire i loro sentimenti, e rappresentare, in uno scatto, la loro essenza". Egle è molto legata alla sua città, anche se spesso, in altri tempi, ha tentato di allontanarsi dal guscio oristanese: "Volevo viaggiare, fare esperienze altrove - racconta senza rimpianto - ma poi ho capito che il mio posto è qui, Oristano è la città in cui voglio vivere. Voglio lavorare con la mia gente, raccontare le persone che vedo ogni giorno, che condividono con me questo bel luogo, da sempre". E per loro ha scelto un contesto storico importante, Palazzo Corrias Carta, una delle espressioni più importanti dell'architettura ottocentesca in Sardegna. Ora il palazzo ospita una dei più tradizionali hotel oristanesi, ristrutturato rispettando le linee e gli arredi di un tempo. Nascono qui i "Teatrini barocchi" tanto amati dall'artista che da sempre sceglie per i suoi scatti location dall'aria antica, un po' demodé, un po' kitch.

"Non so, forse in un'altra vita ho vissuto in un ambiente così, forse ero una cortigiana… chissà - racconta con un grande sorriso - non chiedetemi perché sono così attratta da queste atmosfere, non lo so neanch'io. Le sento dentro e basta".

Non dedica particolare attenzione all'illuminazione dei suoi set: "Uso solo la luce del sole e non faccio modifiche in sede di post produzione. Non so neanche usare Photoshop", ride.

I suoi scatti sono naturali, spesso realizzati con obiettivi basic: "Le diversità che racconto vengono fuori spontanemente con la luce naturale che entra dalle finestre e si spalma sulle forme "imperfette" dei corpi che ho di fronte, cerco donne con un vissuto importante, che traspare dalla loro pelle".

Non è la sua prima esperienza. L'ultimo lavoro di Egle era stato esposto alla Pinacoteca Contini, qualche anno fa. "Free to be free" era il titolo. Era la storia per immagini di una serie di coppie omosessuali, sempre inserite in teatrini molto curati, tra divanetti e broccati. È stata la sua prima grande provocazione: un lavoro che aveva avuto un impatto forte nella piccola Oristano.

"La provocazione è sempre un inizio - spiega - e anche in questo lavoro c'è provocazione. Provocazione legata alla ribellione nei confronti di uno stereotipo femminile nel quale nessuna donna vera si riconosce. Le mie donne sono diverse, il loro corpo è foggiato dai loro percorsi. Tutte scolpite dalle loro passioni, dalle loro esperienze. Tutte splendide nelle loro curve".

Un tripudio di luci e ombre che riempie gli occhi.

Il lavoro di Egle Picozzi è ancora inedito. Ha pubblicato qualche scatto sulla sua pagina Facebook, ma la raccolta non è ancora stata esposta.

"La pandemia mi ha fermato, non era possibile andare avanti, sto riprendendo ora, un po' a fatica, perché non è facile trovare soggetti disposti a mettersi così a nudo".

Ma neppure durante il lock down Egle ha rinunciato al suo lavoro. "Non avevo altre modelle all'infuori di me e mi sono "usata" per una serie di autoritratti legati ad opere d'arte. Non ho inventato niente - tiene a precisare - mi sono solo ispirata a tanti lavori simili che girano sul web: ho preso delle opere d'arte e le ho ricostruite nei miei "soliti" teatrini: io/Frida Kalo; io /Donna dall'orecchino di perla; io/ Tamara de Lempicka; io / Klimt".

Un altro lavoro eccellente, fatto in sordina, che ha già attirato l'attenzione del sito dei musei reali di Torino.
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