Per diventare presidente degli Stati Uniti essere ricchi non è strettamente necessario: però aiuta. Ecco perché lo scoop del New York Times sulle tasse pagate da Donald Trump potrebbe avere effetti sulle elezioni di novembre (anche se adesso il leader Usa deve anzitutto fare i conti col Covid). Non tanto perché è stato svelato che il presidente miliardario ha versato in alcune annate appena 750 dollari di tasse e in altri anni neppure quelli, grazie a qualche trucco più o meno legale. Ma perché quelle cifre così basse, sintomo di introiti altrettanto risicati, rischiano di gettare un'ombra sull'immagine di grande affarista che ha molto contribuito, nel 2016, al successo elettorale di Trump. È la storia a dirlo. Nell'elenco dei presidenti Usa, sono pochi quelli arrivati alla Casa Bianca senza essere già sorretti da un solido patrimonio personale. Non c'entra il fatto che i soldi aiutino a fare una campagna elettorale più efficace, perché quella viene pagata soprattutto dalle donazioni dei grandi e piccoli sostenitori. Il vero motivo è un altro: in una società come quella americana in cui, più che altrove, il reddito dei singoli diventa la misura del loro valore e della loro realizzazione, gli elettori sembrano fidarsi di più di chi è già facoltoso, o quantomeno benestante.

Non è obbligatorio aver ottenuto guadagni elevati grazie alla propria capacità d'iniziativa: solo raramente è stato premiato chi si è fatto da sé. Più spesso il popolo ha scelto uomini che provenivano da famiglie già ricche. Per esempio i primi presidenti, a partire dal primissimo, George Washington, erano quasi tutti grandi proprietari terrieri. Di solito anche con più o meno ampie dotazioni di schiavi al proprio servizio. Washington è rimasto a lungo anche il presidente più facoltoso: è stato calcolato che la sua ricchezza personale abbia raggiunto un picco pari, espresso in valori attuali, a 594,2 milioni di dollari. È stato superato solo nel 1961 con l'elezione di John Fitzgerald Kennedy (a proposito di famiglie potenti), a cui viene attribuita la cifra di 1 miliardo e 100 milioni. Entrambi sono stati poi surclassati dai 3,2 miliardi di Trump, anche se - come dimostra appunto l'inchiesta del New York Times - sull'effettiva consistenza delle sue fortune resta ancora qualche mistero. A stilare la classifica di tutti i tempi, adeguando all'inflazione i redditi delle varie epoche per poterli confrontare, è stato poco tempo fa il sito 24/7wallst.com. Un lavoro eccezionale e molto complicato, che ha messo insieme tutti gli introiti conosciuti dei 45 inquilini della Casa Bianca, calcolando per ciascuno il valore massimo raggiunto dal rispettivo patrimonio: che non coincide sempre con gli anni della presidenza. In svariati casi il momento migliore è arrivato dopo la fine del mandato, spesso anche grazie alle autobiografie o alle attività di conferenzieri che monetizzano la popolarità acquisita grazie al ruolo. Ma qualcuno ha seguito la parabola inversa, finendo per dilapidare ingenti fortune e talora arrivando addirittura a morire in povertà. È il caso per esempio del generale Ulysses Grant, eroe della Guerra di secessione transitato alla politica, in carica dal 1869 al 1877: agiato grazie alla sua famiglia e a quella della moglie (il suocero era un ricco commerciante), venne poi truffato dal socio in affari di suo figlio e perse tutto. In questo caso l'autobiografia, pubblicata postuma, servì quantomeno a garantire un po' di tranquillità alla moglie e agli altri eredi.

Il più sciupone della storia però è Thomas Jefferson, uno dei padri della patria e della Dichiarazione d'indipendenza, terzo presidente degli Stati Uniti. Ereditò una vasta tenuta quando aveva meno di vent'anni, arrivò a un ragguardevole patrimonio di 239,7 milioni. Ma fu incapace di gestirlo, pare anche per aver spesso prestato soldi a chi non era in grado di restituirli. Finì travolto dai debiti, la figlia dovette approfittare dell'assistenza agli indigenti. Per una coincidenza, sul Monte Rushmore la sua immagine fa compagnia ad altri due personaggi con problemi di soldi (il quarto è Washington): Theodore Roosevelt (1901-1909), che perse una fortuna arrivata fino a 141 milioni per via di alcuni investimenti sbagliati, e Abraham Lincoln (1861-1865), uno dei presidenti più amati, che nonostante il lavoro di procuratore e l'attività politica non mise quasi mai niente da parte, e rimase sempre al di sotto del milione di dollari come personale riserva finanziaria. Carriera simile - avvocato e poi parlamentare - a quella del suo predecessore James Buchanan. Quest'ultimo, in più, era nato in una capanna di tronchi in Pennsylvania e aveva dieci fratelli. Curiosità: è l'unico presidente Usa che non si è mai sposato. All'estremo opposto ci sono i tanti beneficiati dalle proprie famiglie, e spesso da quelle delle mogli. Il più longevo nella carica, Franklin Delano Roosevelt (1933-1945), poteva contare nel suo momento migliore su 67,6 milioni di dollari. I Bush, dinastia di petrolieri, sono riusciti a piazzare a Washington addirittura padre (George H. W.) e figlio (George W.). Per essere eletti inoltre rappresenta spesso una bella spinta fare l'avvocato di alto livello: si vedano, in tempi recenti, i casi di Bill Clinton e Barack Obama (rispettivamente 76,8 e 135 milioni di "picco", anche grazie alle attività post-mandato). Tra quelli partiti dal niente e approdati all'agiatezza si possono citare Grover Cleveland, alla Casa Bianca in due riprese alla fine del XIX secolo, figlio di un povero ministro di culto presbiteriano e accreditato di un patrimonio superiore ai 28 milioni di dollari; Dwight Eisenhower (1953-1961), che senza godere di particolari eredità arrivò a 9,2 milioni; il suo predecessore Herbert Hoover (84 milioni), rimasto orfano da piccolissimo e molto povero, che diventerà un grande imprenditore minerario; e Richard Nixon, quello dello scandalo Watergate del 1974, i cui genitori gestivano un modesto negozio di alimentari e un distributore di benzina. Pur ricoprendo soprattutto ruoli di "public servant" e di uomo politico, riuscì a mettere insieme fino a 17,4 milioni. Certo non basta l'indennità da presidente per diventare ricchi. Attualmente l'incarico forse più importante al mondo è ricompensato con 400mila dollari all'anno, da cui vanno però sottratte le imposte. Inoltre sono previsti circa altri 170mila dollari tra conto spese, viaggi e così via. Resta però la prassi di rendere pubblici i propri redditi, violata da Donald Trump. Nessuno può dire adesso che effetto avranno, sulla corsa alla Casa Bianca, le rivelazioni sui conti del miliardario newyorkese. In altri tempi uno scoop come quello del New York Times avrebbe potuto influenzare pesantemente le elezioni. Oggi forse anche gli americani sono disposti a perdonare gli smemorati fiscali. Ma non è detto che siano altrettanto indulgenti con chi mostra difficoltà nel mantenere floride le proprie finanze.
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