Ironia, impegno sociale, attenzione a ciò che succede nel mondo, fuori dal rettangolo verde. E, naturalmente, la puntuale cronaca dell'attività della squadra di calcio e del club. Emanuele Garau, cagliaritano da alcuni anni trasferito in Canada, ha portato così il profilo Twitter di una squadra importante come il Pescara (che come il Cagliari si identifica calcisticamente con una regione intera) all'attenzione generale. Tanto da farle vincere due premi nazionali. Un'esperienza che ha lasciato il segno e che gli ha fatto meritare un contratto con la Federcalcio, per seguire come social media manager il settore femminile.

Quarant'anni, varie esperienze giornalistiche alle spalle (anche come collaboratore dell'Unione Sarda, così come il suo gemello Alberto), Garau ha sposato Maria Teresa, canadese di origine honduregna, dalla quale ha avuto una figlia. Oggi vive a Vaughan, vicino a Toronto. Internet gli consente di tenere i contatti con l'Italia, peraltro molto ben rappresentata in quella zona del Canada.

Come sei diventato social media manager al Pescara?

"Sono arrivato al Pescara dopo aver maturato l'esperienza con l'Atalanta Mozzanica nel calcio femminile. Lì ho sperimentato questo approccio più leggero, non istituzionale. Il calcio femminile lo permette e lì ho colto le prime soddisfazioni. Poi loro hanno chiuso e ho provato a contattare squadre maschili, di Serie B o Lega Pro per mettermi alla prova. Il Pescara in un'ora ha risposto alla mia email nella quale illustravo loro i vantaggi di avere una persona che gestiva il profilo Twitter".

Questo social network ti attrae più degli altri?

"Sì. Mi sono concentrato su questa piattaforma anche se in Italia non ha ancora il peso che ha nel resto del mondo. Però ci stiamo arrivando, anche se ancora molte società devono capire l'importanza di essere sui social in modo assiduo. E non tutti ci investono. L'addetto stampa si deve improvvisare social media manager che è un altro lavoro. Averlo può alleggerire molto il lavoro dell'addetto alla comunicazione. Eppure anche in Serie A c'è qualcuno che non ha attivato questa figura".

Ti piacerebbe lavorare nella tua città, Cagliari?

"Certo, ma il Cagliari ha già Simone Ariu che fa un ottimo lavoro. Su Twitter non hanno grandissimi numeri, un po' come succede a quasi tutte le squadre - a parte le grandi - però lo stile di Simone mi piace molto. Certo da cagliaritano sarebbe bellissimo mettermi alla prova nella mia città, se ci fossero le condizioni. Credo che lavorare in Serie A e a Cagliari sarebbe il massimo".

Altrimenti?

"Mi basterebbe la Serie A. Da quando ho chiuso l'esperienza con il Pescara ho scoperto che c'è un comitato spontaneo che si è formato per portarmi al Napoli. Taggano il profilo ufficiale, il presidente. Si è creato un feeeling, forse i contenuti sono piaciuti. Pensate, ho messo d'accordo i tifosi del Napoli e della Juve. Se conoscete la rivalità che c'è...".

Hai cambiato il modo di gestire il profilo Twitter: le altre società come reagiscono?

"L'unica che ha attaccato la gestione del profilo del Pescara è stata quella dell'Inter, non so perché".

Però la comunicazione ha funzionato.

"Abbiamo ricevuto due premi: a febbraio il premio Sport e diritti umani da Amnesty, che poi per la pandemia non è stato ritirato. Poi ho scoperto che era stato un grande giornalista come Riccardo Cucchi, ex Radio Rai, a suggerire la candidatura del Pescara. Mi ha anche contattato per chiedermi se mi avesse fatto piacere e mi ha anticipato lui che avevamo vinto. Anche la Roma mi ha fatto i complimenti. E poi il 5 luglio il premio Rocky Marciano 2020 che assegna il comune di Ripa Teatina. Sono premi vinti dal Pescara ma su iniziative proposte da me".

Come nasce questo stile così anticonvenzionale?

"Credo che questo mio modo di interpretare lo sport dipenda molto dalla mia educazione e da come sono cresciuto a Cagliari. La lotta contro le diseguaglianze mi ha sempre interessato, non è un discorso legato a un partito o a un altro: sono nauseato dalla politica. Queste iniziative sono state subito accettate e sposate dal Pescara. Non abbiamo creato campagne, abbiamo preso posizione su certi avvenimenti. A me piace l'ironia e ho utilizzato questo strumento per lanciare messaggi che non avevano lo scopo di avere feedback positivi. Lo abbiamo fatto rischiando di avere una reazione contraria dai nostri stessi tifosi".

A un certo punto un tifoso si è lamentato dicendo, più o meno, "o la piantate o non tifo più Pescara". E gli hai risposto: "Accomodati, non ci serve gente razzista come te". Un trionfo...

"Quel tweet ha generato un milione di visualizzazioni e ha avuto consensi unanimi da parte di tutti. Non era una risposta programmata. L'ho pensata, mi sono confrontato con l'area comunicazione abbiamo deciso di postarlo. Ha dato notorietà al profilo, ma non è stato l'unico, anche se il più visto".

Cosa ti aspetti dalla collaborazione con la Figc?

"È una cosa nuova, anche se avevo già lavorato al Cip, con il presidente Pancalli, ma ero consigliere con una piccola delega alla comunicazione. Passare da un club a una federazione è una nuova dimensione ma è molto stimolante".

Continuerai con lo stesso stile? "Sì, ma spero che nel mio lavoro federale l'attualità non mi costringa ad affrontare la tematica della violenza sulle donne. Se capitasse non mi spaventerò. Ho fatto una bella palestra, anche se qui la comunicazione è diversa. Ognuno ha il proprio abito comunicativo. Io ho libertà ma entro certi limiti ma credo che anche la Federazione la pensi nello stesso modo. Vedremo come muoverci sempre seguendo le dinamiche di un team. Ma al responsabile è piaciuta l'idea di lanciare messaggi. Molti non vogliono perché scelgono di concentarsi sul pallone e basta o non possono perché temono di perdere tifosi, ma nel corso della passata stagione ho visto che qualcuno ha iniziato a emulare ciò che hanno fatto la Roma o il Pescara".

Ti fa piacere essere in qualche modo copiato?

"Sono contento quando vedo che accade, anche se non è giusto copiare, perché ognuno ha la sua storia, la sua tifoseria. Il lockdown come aspetto positivo nel calcio ha svegliato alcune società che hanno dovuto rivoluzionare la loro linea editoriale, cercando contenuti diversi, visto che non c'erano partite. E hanno dovuto cercare personale specializzato. C'è una tendenza ad andare otre. Qualcosa sta cambiando".

Cosa fai in Canada, a parte il lavoro nei social?

"Ho preso un anno di aspettativa per stare a casa con mia figlia e, con l'arrivo della pandemia, lavorando in un ambiente molto a rischio. La mia agenzia dà assistenza psicofisica alla popolazione anziana, in particolare agli italiani che sono molto numerosi a Woodbridge, all'interno della città di Vaughan. È stata da sempre una delle zone più ricercata dagli italiani che qui sono almeno quattrocentomila".

Torniamo al Pescara.

"Ho iniziato a lavorare con loro nell'aprile 2019, ma li ho conosciuti soltanto in seguito. Ero andato in Italia, poi nel corso della trasferta a Venezia ho conosciuto il responsabile dell'area comunicazione pescarese, Massimo Mucciante, il team manager Gessa e i giocatori. Ma avevo già iniziato a lavorare per loro".

Perché proprio Venezia?

"Perché è la squadra che tifo. E infatti quando ero lÌ io conoscevo meglio quelli del Venezia e alla fine anche al Pescara si sono accorti che ero un loro tifoso. A suo tempo mi ero proposto anche a loro. È stato particolare andare al "Penzo" da avversario a raccontare la partita per il Pescara. Ma sono stato professionale, naturalmente".

Correggiamo la domanda: perché proprio il Venezia?

"Ho iniziato a seguire il Venezia a 13 o 14 anni perché ho parenti a Venezia e in terraferma. Mi sono piaciuti questi colori, l'arancio-neroverde e poi il fatto che non è mai stata una grande squadra, il fatto di giocare in mezzo alla laguna, che comunque abbiano avuto grandi giocatori in passato. Nel corso del tempo il tifo si è affievolito ma è rimasto. Ho sempre avuto un debole per le squadre meno blasonate".

Perché non il Cagliari, allora?

"Da piccolo andavo al Sant'Elia, sono stato anche abbonato, ma non ho sviluppato quell'attaccamento al Cagliari, anche se lo seguo come risultati e dall'attività social".

Non dai l'idea di essere un tifoso troppo accalorato.

"No, infatti. Nel 2004 il calcio italiano mi aveva stufato, mi ero disamorato. Nel 2014 sono andato a vedere una partita del Toronto FC nel vecchio BMO Field, quando non era ancora stato ingrandito. L'atmosfera era diversa, famiglie, bambini e anche se la squadra aveva perso uscivano dallo stadio sorridenti. Per due anni sono stato abbonato, la squadra ha vinto il titolo, con Sebastian Giovinco, c'è stata la parata a downtown, come si fa in America ma anche in Canada, c'era un sacco di gente ma non ci fu nessun problema. Non è stato come quando i Raptors hanno vinto la Nba. L'ho vissuto dientro l'obiettivo della fotocamera, è stato un bel momento, ma sono più concentrato sull'Italia". Cosa vorresti fare? "Spero un giorno di poter iniziare la collaborazione con una realtà locale. O il Toronto o la nuova squadra che fa parte della neonata premier league cabadese, lo York 9 FC di Vaughan".

Ultima domanda: il mondo che cambia così rapidamente ti dà maggiori speranze?

"Il mio auspicio è che cominci un cambiamento ma vedo che certe cose continuano a essere le stesse. Siamo stati tutti toccati da questa pandemia ma temo che l'essere umano si dimentichi in fretta dei buoni propositi. Non sono molto ottimista. Resta ancora tantissimo da fare, anche se spero di sbagliarmi".
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