"Sì, vabbè, ma in classe è meglio". La sintesi di un quattordicenne è esemplare, cristallina nella sua chiarezza. La generazione "under" ha chiuso con feriti e prigionieri una stagione anomala, storica se vogliamo, fatta di lezioni da casa e i banchi che sfumano nei ricordi. La scuola, come e forse più di altri settori della nostra vita, ha pagato duramente la chiusura, il blocco, o lockdown come si usa, inglesizzando ancora di più una lingua così pura e inimitabile come la nostra. L'epidemia ha costretto alla chiusura dai primi di marzo gli istituti, dagli asili ai licei, distruggendo le poche certezze che gli insegnanti avevano costruito fino alla fine di febbraio e che i ragazzi avevano faticosamente "fabbricato", un giorno dopo l'altro, con la collaborazione - chi più, chi meno - di genitori comunque intrappolati nelle loro esistenze. Da genitori, abbiamo accolto subito con curiosità il ritorno a casa dei ragazzi, fra difficoltà logistiche e nuovi problemi di organizzazione, credendo (e sbagliando) che tutto diventasse improvvisamente più semplice senza le battaglie per la sveglia, il traffico, i minuti che scorrono e dopo le 13, tutto che ricomincia. E loro, i ragazzi - nessuno si senta escluso - hanno festeggiato, facendo esplodere le chat perché la scuola, di fatto, finiva lì. "Feste" che sono proseguite quando - sotto Pasqua - visto l'espandersi dell'epidemia e nel pieno della tragedia che ha colpito una parte del nostro Paese, il governo ha deciso di dichiarare chiusa la stagione scolastica 2019-20.

Chi stava traballando, ha preso un bel respiro in attesa di riconnettersi da casa e poter migliorare il proprio rendimento. Chi filava come un Frecciarossa, ha proseguito a farlo. Ma il varo, faticoso e molto italiano, della didattica a distanza non è sintetizzabile solo con queste due categorie di alunni casalinghi. L'Italia ha scoperto di non essere coperta da una segnale 4G decente, grandi sacche di territorio non garantiscono ancora buona qualità nelle connessioni, se aggiungiamo quella fetta di docenti che hanno lentamente, e senza pressione, lavorato a distanza e quei ragazzi che hanno marciato sui problemi di linea, possiamo serenamente affermare che l'esperimento sia riuscito solo in parte. Le circolari applicative del ministero dell'Istruzione, una dopo l'altra, hanno dapprima consigliato tutti i docenti - in sintesi - a non entrare a casa dei ragazzi, lasciando che le famiglie ritrovassero i loro ritmi, quindi c'è stata una accelerazione verso la ripresa delle lezioni, un consiglio (la didattica a distanza è una libera scelta del corpo docente) che non tutti, a diversi livelli, hanno recepito. Tuttavia, dal ministero sono state indicate le piattaforme gratuite dove poter "convocare" i ragazzi, è cominciata la consegna dei device a famiglie e docenti, seppure in tutte le scuole ci sia stato chi non ha richiesto il mezzo, preferendo lavorare solo in audio o videolezioni registrate. O magari utilizzando la mail.

Si è dato per certo, alla partenza, che tutti o quasi possedessero un tablet, o un pc di buona qualità, sperando che nelle famiglie italiane i figli fossero pochi e che non ci fosse contemporaneità nelle lezioni (impossibile) per evitare che uno dovesse restare a "piedi". Lo smart working di tanti, tantissimi genitori poi, ha chiuso il cerchio, troncando spesso quel già esile filo che legava professori, o maestri, e ai loro ragazzi. Grazie alle chat, alla buona, buonissima volontà di un corpo docente che si è dovuto inventare un mestiere, le lezioni a distanza sono cominciate e non è stato facile - lo diciamo da spettatori - riportare un clima scolastico, fra battute, gaffe clamorose (ah, quei microfoni sempre aperti) e un'analfabetismo digitale che colpisce ancora molti insegnanti ma anche gli under 18. Sono stati due mesi e mezzo, quasi tre, di interrogazioni light (i più furbi hanno potuto gettare uno sguardo ai libri, se collocati strategicamente bene), di test scritti che hanno riportato alla realtà i ragazzi, con il disperato tentativo di tenere viva l'attenzione messo in campo dai maestri, alle prese con piccoli scolari magari in pieno apprendimento della scrittura e della lettura. La nave è arrivata in porto, faticosamente e non senza tempeste. La scuola resta in piena emergenza, con il ritorno dell'epidemia, la paura dei contagi e una istituzione che non sembra pronta, seppure dal ministero assicurino che si ricomincerà, con tanta, tanta attenzione. Il ritorno delle lezioni a distanza? I ragazzi hanno bisogno di stare a contatto, di sentire la scuola, delle lezioni frontali, di quella normalità che è la base della loro formazione.
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