23 agosto 1927. Diciannove minuti dopo la mezzanotte, si compie uno dei più grandi abusi della storia degli Stati Uniti d'America: gli immigrati italiani Ferdinando Sacco e Bartolomeo Vanzetti vengono giustiziati sulla sedia elettrica nel penitenziario di Charlestown.

La fine ingloriosa di una vicenda infame, iniziata sette anni prima.

Quando salì al patibolo Sacco, pugliese, aveva 36 anni; Vanzetti, piemontese, 39.

Il primo era operaio, il secondo faceva il pescivendolo. Entrambi anarchici, furono catturati alla vigilia di un comizio, perché in possesso di una pistola e di alcuni volantini.

Rischiavano un’incriminazione per propaganda sovversiva; finirono alla sbarra per un crimine che non avevano commesso: le uccisioni di un impiegato e di una guardia commesse nei giorni precedenti durante una rapina a una fabbrica di scarpe.

Iniziò un lungo calvario, che ebbe eco in tutto il mondo: a nulla valsero gli appelli, a nulla servirono le manifestazioni per chiedere la grazia.

I giudici furono irremovibili: Sacco e Vanzetti trovarono la morte, come agnelli sacrificali, per "dare un esempio" a tutti coloro i quali, nell’America del primo ‘900, si scagliavano contro il Potere in nome di maggiori diritti.

"Mi state processando perché sono anarchico e perché sono italiano", ebbe a dire in aula Vanzetti.

"Ma se poteste giustiziarmi due volte e potessi rinascere due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già".

Lo Stato del Massachusetts ci mise mezzo secolo per fare ammenda: i nomi Sacco e Vanzetti furono infatti completamente riabilitati solo nel 1977. La loro condanna, però, resta tale: la giustizia Usa non ha mai ammesso di essersi sbagliata.

(Redazione Online/l.f.)

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