Il 21 agosto 2000 si svela il finale, tragico, della vicenda che ha coinvolto il sottomarino nucleare Kursk, che alcuni giorni prima, il 12 agosto, viene investito da un'esplosione mentre era impegnato in un'esercitazione militare nel Mare di Barents. Esercitazione in cui avrebbe dovuto lanciare dei siluri a salve contro l'incrociatore Piotr Velikij. Ebbene, all'apertura del portellone, tutti gli oltre cento tra marinai e ufficiali sono risultati morti.

Inutili gli sforzi dei sommozzatori norvegesi, che riescono a calarsi a cento metri di profondità vincendo le correnti e il freddo e, grazie a una sofisticata leva idraulica, forzano il portellone di poppa. Anziché rimanere impermeabile, la zona intermedia è invasa dall'acqua.

La commissione d'inchiesta guidata dal procuratore generale Vladimir Ustinov, conclude il 29 giugno 2002 che le esplosioni a bordo del sottomarino russo sono state causate da un siluro difettoso, che ha innescato delle reazioni a catena.

Inizialmente l'ipotesi è quella di una collisione del Kursk con un qualche unità non russa (quel giorno – si scoprirà poi - erano presenti due sottomarini statunitensi, il Memphis e il Toledo, che osservavano l'esercitazione).

Secondo un'altra teoria, il Toledo avrebbe urtato il sottomarino russo e avrebbe tentato di allontanarsi dal Kursk che stava attivando i sistemi d'arma. Così il Memphis avrebbe lanciato un siluro, colpendo il sottomarino russo sulla prua, dove erano contenuti i siluri.

Ma la verità sulla tragedia è ancora avvolta da più di un mistero.

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