Una valigia abbandonata esplode nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Bologna: è una strage quella del 2 agosto 1980, che provoca la morte di 85 persone (e di una di queste, Maria Fresu, 24 anni, mamma della vittima più piccola, Angela, di tre anni, il corpo non verrà mai trovato, probabilmente perché disintegrato) e il ferimento di oltre 200.

Dopo i depistaggi iniziali, che avevano spinto l’allora capo del governo Francesco Cossiga a parlare di un incidente dovuto allo scoppio di una caldaia nel sotterraneo, emerge chiaramente la matrice terrorista.

L’attentato viene rivendicato prima dai Nar, poi dalle Brigate Rosse, che successivamente smentiranno categoricamente attraverso telefonate di entrambi i gruppi.

Una lunga e complicata vicenda giudiziaria porterà la Cassazione ad emettere una sentenza definitiva nel 1995, con la quale condanna all’ergastolo, in quanto ritenuti esecutori materiali, i neofascisti del Nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che però si sono sempre dichiarati innocenti; per il depistaggio vengono invece condannati Licio Gelli, ex capo della P2, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte (ufficiali del Sismi), e Francesco Pazienza (collaboratore del Sismi).

L’altra sentenza, emessa nel 2000 dalla Corte d’assise di Bologna, condannerà altre persone per depistaggio. Si tratta di Massimo Carminati, Federico Mannucci Benincasa, e Ivano Bongiovanni; nel 2001 in appello Carminati e Mannucci Benincasa vengono assolti, decisione poi confermata due anni dopo dalla Cassazione.

L’ultimo a finire in tribunale come esecutore materiale è Luigi Ciavardini: per lui 30 anni di carcere per strage, senza dimenticare che proprio quest’anno anche Gilberto Cavallini, un altro ex Nar, è stato rinviato a giudizio per concorso in strage.

(Redazione Online/s.s.)

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