Il rapporto tra Juan Sebastián Verón e l’Italia è sempre stato molto solido. D’altronde come potrebbe essere il contrario dopo aver giocato, e vinto, con le maglie di Parma, Lazio e Inter tra gli anni Novanta e Duemila?

Il centrocampista argentino ha sempre mantenuto un legame fortissimo col nostro Paese, fin dal 1996, quando fu la Sampdoria, e l’allenatore svedese Eriksson, a credere in lui e a portarlo in Serie A dall’Estudiantes per 6 miliardi di lire. Poi le vittorie, una dietro l’altra, come lo storico campionato a Roma (sponda biancoceleste), le quattro Coppe Italia, la Coppa Uefa del 1999 e tanto altro.

Ora "La Brujita" (la streghetta, come viene soprannominato in patria) è diventato una delle figure più rappresentative del calcio argentino e dal 2016 è addirittura presidente della squadra che lo ha lanciato, cresciuto e riaccolto per concludere la carriera: l’Estudiantes de La Plata.

In questi giorni è a Parma, dopo aver partecipato all’evento organizzato da "Operazione Nostalgia" per celebrare le vecchie glorie del calcio italiano. E noi ne abbiamo approfittato per fare due chiacchiere. Dall’Argentina di Leo Messi in grande difficoltà al mondiale passando per le sue stagioni migliori in Italia e le sfide al Sant’Elia in cui "non era mai facile vincere".

Lei è stato un centrocampista di livello mondiale. Come giudica le prestazioni dell’Argentina?

"Non è un momento facile né positivo per la nazionale di Sampaoli. Ci si aspettava sicuramente un altro inizio da parte loro, perché l’Argentina fa parte sempre delle favorite e c’è tanta pressione. Durante le qualificazioni hanno fatto un po’ di fatica, ma tutti speravamo iniziassero meglio".

Si dice che in Sudamerica si viva il calcio in maniera quasi "ossessiva". Può pesare sul risultato finale?

"Non è un mistero che dalle nostre parti lo sport venga vissuto con grande passione e coinvolgimento. Ma non credo sia questo il problema dell’Argentina. Sono tutti giocatori abituati ad avere tante attenzioni fin dalle giovanili. L’esordio al mondiale non è mai semplice e il calcio è questo: ci sono momenti belli in cui tutto va bene e altri in cui bisogna stringerei denti davanti alle difficoltà".

In tal senso, Messi sembra soffire determinate partite...

"In Argentina abbiamo l’abitudine di concentrare tutte le attenzioni sul singolo. Lionel non ha bisogno di presentazioni come giocatore, ma nel nostro Paese, forse, lo si responsabilizza troppo. Non si può pensare che un singolo risolva tutti i problemi del gruppo. Evidentemente c’è dell’altro".

A cosa si riferisce?

"Penso che all’interno di una rosa ci possano essere tante stelle, ma è l’insieme a fare la differenza. Le squadre che partecipano al mondiale sono organizzate in tutto e per tutto. Anche se non hanno grandi individualità, come l’Islanda, sanno occupare gli spazi e ti mettono sempre in difficoltà. Per raggiungere grandi traguardi deve funzionare tutto. Messi è importante, ma la squadra lo deve accompagnare".

Molti affermano che lo spogliatoio sia spaccato e che Sampaoli non abbia più in pugno la situazione.

"Non voglio entrare nel merito. Dico solo che, se ci sono dei problemi, bisogna parlarne subito. È un torneo talmente breve che non si può tentennare. Ma, come dicevo prima, se qualcuno ha qualcosa da dire deve farlo serenamente e conforntarsi con il gruppo. Gli individualismi fanno solo male. Si vince e si lotta per un unico obiettivo".

A proposito: la sua Argentina aveva un gruppo di primo livello. Come mai non siete arrivati in fondo?

"Purtroppo ci è mancato solo vincere. Nel calcio conta questo, è vero, ma ci siamo chiesti molte volte il perché non siamo riusciti a conquistare un mondiale. Ho partecipato a quello del ’98, del 2002 e del 2010 e abbiamo avuto sempre grandi giocatori. Ma ragionando con tutti i miei compagni non siamo mai riusciti a darci una spiegazione. Di una cosa sono certo: non è mai una la ragione, o la colpa, per cui non si vince. Valeva per noi e vale per l’Argentina attuale".

Crede che l’Albiceleste alla fine ce la possa fare?

"Il 2-0 della Nigeria sull’Islanda ci permette ancora di qualificarci. Il calcio è questo e davanti alle difficoltà bisogna stringere i denti. Spero che nell’ultima gara abbiano la forza di dimostrare il loro valore".

Come giudica la Serie A attuale?

"Sono felice per il Parma, ma anche per l’Inter. In Emilia ho vissuto anni bellissimi e sono contento che siano stati promossi. L’Inter deve stare in Champions League e penso che Icardi sarebbe dovuto andare al mondiale. Ha vinto la classifica cannonieri in Serie A e non è mai facile".

Ha un aneddoto particolare sul Cagliari da raccontarci?

"Ho giocato tante volte al Sant’Elia. Ho visto che ora hanno uno stadio nuovo ed è un passo importante. Ma il mio ricordo è di un ambiente molto caldo, tifosi appassionati, molto simile all’Argentina. Spesso ho ottenuto risultati importanti: una vittoria con i rossoblù ci valse la qualificazione in Coppa Uefa. Comunque è sempre una squadra difficile da affrontare".

Filippo Migheli

(Unioneonline)

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