Un anno fa, il 22 aprile, smetteva di volare l'Acquila di Filottrano, Michele Scarponi.

"È morto Michele Scarponi", recitava una concisa e dolorosa nota stampa, riferita al ciclista che qualche giorno prima era tornato a vincere il Tour of the Alps.

Già, perché non è il drammatico investimento avvenuto sulle strade della sua Filottrano, durante un giro di allenamento, ad aver scritto la storia di Michele: bensì il suo sorriso, che spuntava dalle sue labbra come il sole primaverile durante gli indicibili sforzi in piedi sui pedali.

Una vita da gregario la sua, quella di chi accompagna - sfiancandosi ad ogni chilometro macinato - mano nella mano i grandi campioni delle due ruote a poco dal traguardo per lo sprint finale.

Sì, Scarponi era questo: un uomo al servizio dei compagni, della squadra, della maglia sacra e inviolabile solo per chi dedica la propria vita sportiva a onorarla e celebrarla con il proprio sudore.

Così, le sue più belle e fulgide vittorie sono state scritte dalle ruote di altri, come il Tour de France 2014 e il Giro d’Italia 2016 conquistati dallo Squalo Vincenzo Nibali con la maglia dell’Astana.

Anche se, nel 2009, Scarponi si tolse lo sfizio di tagliare il traguardo con le mani in aria, rivolte a quel cielo che oggi è la sua casa, vincendo la Tirreno-Adriatica.

Oggi, a 365 giorni dalla sua morte, a ricordarlo è bastato uno stringato post del Giro d’Italia. Un post di quelli che sarebbero piaciuti a lui: senza fronzoli e di una feroce concretezza.

"È già passato un anno da quando ci hai lasciati. Ci manchi. Ciao Michele Scarponi".

(Unioneonline/DC)

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