La chiamata alle armi di Alessandro Marino suona come un ultimo appello.

"L'Olbia non è di proprietà né del sottoscritto, né dei suoi dipendenti, bensì un bene comune della città e della regione", premette il presidente dei bianchi.

Sarà addio? "Con grande rammarico, dunque, devo prendere atto che ai risultati sportivi e organizzativi e al mantenimento degli impegni presi dalla società non sta corrispondendo la partecipazione delle imprese del territorio e delle istituzioni: questa indifferenza e questo senso di abbandono mi deludono e mi inducono a riflettere in merito all'opportunità di portare avanti il progetto".

Il messaggio è forte e chiaro, e arriva durante il turno di riposo, che la squadra di Bernardo Mereu osserverà oggi, in occasione della 14° giornata di Serie C.

IL PUNTO - Tracciando un bilancio della sua presidenza, Marino non nasconde l'amarezza per una certo atteggiamento di fronte al progetto avviato due stagioni fa.

"Guardando indietro, non posso che essere orgoglioso di quanto i ragazzi e lo staff abbiano fatto in passato e stiano facendo in questo campionato: a oggi, tutti gli obiettivi programmatici prefissati sono stati centrati, dall'intento dichiarato di riportare il calcio professionistico a Olbia alla creazione di un brand fresco e moderno, fino alla riqualificazione del calcio giovanile locale e al risveglio nei tifosi della passione sopita", spiega attraverso una nota, emessa ieri dal club.

"I risultati ottenuti hanno superato le attese, tuttavia, a distanza di due anni, è giunto il tempo di fare bilanci e considerazioni che esulino i traguardi raggiunti, ma che diano invece risposte circostanziate alle prospettive e alle ambizioni di crescita del club".

L'APPELLO - Da cui la chiamata alle armi rivolta a imprese, Comune e Regione Sardegna per un sostegno concreto.

"Ogni componente deve dimostrare di volere realmente una crescita: diversamente l'Olbia rimarrà confinata in una dimensione molto meno entusiasmante di quanto invece potrebbe essere".

Il ritorno tra i professionisti, ottenuto al primo anno, e il perseguimento di un'idea diversa di calcio, dove la crescita dei talenti sardi, molti dei quali di proprietà del Cagliari, fa il paio con le gesta di calciatori di Serie A, come Ragatzu, Pisano e Aresti, stentano a catalizzare l'attenzione che meriterebbero.

Un dato di fatto lamentato più volte da Marino.

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