Il caso Donsah è l’ultimo della serie, almeno per un paio d’ore. Perché di contratti che non arrivano alla scadenza il calcio ne fa ripieno per tappare buchi. È il gioco nel gioco del calcio. È la religione che celebra il Dio Denaro e che mette società, procuratori, calciatori e allenatori in un ring di chiacchiere, bugie e impegni mancati. Se ne legge ogni giorno, più volte al giorno, quasi fosse una medicina e invece è una delle cicute che uccide il calcio. È un insulto al mondo che cede ogni giorno di più sentire che il valore del calciatore è più importante delle sue prestazioni. È un’arma utilizzare strategicamente i mass media per mettere in cattiva luce l’uno o l’altro, per compromettere un rapporto di lavoro che è stato regolato con interessi convergenti e condivisi. Un contratto stabilisce tempi e modi e ha una scadenza, a quella si dovrebbe arrivare. Ma nella logica delle imprese del pallone l’interesse è cedere il calciatore sotto contratto nel momento che si ritiene migliore. È logico ma si ha paura di ammetterlo perché incompatibile con la passione dei tifosi che della fedeltà ne fanno un concetto basilare. Ogni volta si deve tentare di trovare una giustificazione, di mettere in piedi una strategia. Di questo approfitta il procuratore che chiede di adeguare il contratto al valore del calciatore, per creare le condizioni immediate di guadagno, quasi non avesse la società contribuito a far salire quello stesso valore. La società che il più delle volte accetta, anche per far aumentare il riscatto nel momento in cui deve cedere il suo giocatore. Ma quando non accetta l’uno o l’altro, l’avvio di una campagna diffamatoria che diventa strumentale. Il caso Donsah è l’ennesimo. Difficile districarsi nel rovo di accuse più o meno fondate. Facile capire che alla fine l’accordo sarà solo fondato sugli interessi. In barba a contratti e passioni. In barba ai valori di professionalità e rispetto degli accordi. Non solo un cattivo esempio ma anche un insulto nei confronti di chi ogni giorno sogna un contratto, anche di un solo mese. Nel totale disprezzo dello stato economico del tifoso medio che per la sua passione spende a volte più di quanto sarebbe consigliabile fare
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