L'edizione con molta probabilità piú bella, dura ed emozionante del Giro d'Italia nel dopo-Pantani, ci riconsegna un Fabio Aru in 3D. Non per gli effetti speciali che ha fatto vedere in salita, ma perché il 24enne scalatore di Villacidro va visto in tre dimensioni.

La prima è la dimensione sarda ed è la piú eclatante. Perché abbatte muri e record ed entra trionfalmente nella storia dello sport isolano. Siamo molto vicini ai livelli dello scudetto del Cagliari. Lo hanno percepito i tanti sardi sulle strade del Giro: bastava avere una bandiera sarda o una maglia con l'effige del "Cavaliere dei 4 mori" per ricevere applausi, saluti e complimenti da tutti. Aru, campione-simpatia come la squadra di Riva e Scopigno.

Primo sardo a indossare la maglia rosa, primo a conquistare quella bianca, primo a vincere tappe (sono giá tre) e a salire sul podio (due volte) del Giro.

Ma, come detto, c'è una dimensione extraregionale. Aru é, come e forse piú di Vincenzo Nibali, il corridore capace di entrare nel cuore dei tifosi italiani (e non solo). Quando scatta in salita, certo, e quando vince. Ma soprattutto quando soffre e non si arrende, quando rende merito ai compagni o piange di gioia per la vittoria dell'amico. Lo ha detto anche Renzi: Fabio ci riconcilia con il ciclismo.

Infine c'è una dimensione assoluta. Contador ha già detto che si rivede in lui, che Aru è il presente delle grandi corse a tappe. Ne ha disputate tre da capitano dell'Astana. Il bilancio: terzo, quinto e secondo, con cinque successi di tappa che sono altrettante pietre preziose. È settimo della classifica del World Tour e primo italiano. No, la Sardegna un campione cosí non l'ha mai neppure sognato.

Carlo Alberto Melis
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