"Io mi mangio il pilota". Una frase che sembra uno scherzo lugubre ma invece nel lontano 1972 a -30° sulla Cordigliera delle Ande rappresentò la salvezza per 11 ragazzi sopravvisuti all'incidente aereo e rimasti per due mesi a combattere col freddo e con le difficoltà causate dall'incidente.

Il 13 ottobre un Fokker dell'aviazione uruguaiana si schianta, a causa di un errore del pilota, sul picco di una montagna. L'aereo si spezza in due tronconi, la coda cade in una vallata mentre la parte anteriore scivola in un pendio e si ferma nel mando spesso di neve. A bordo ci sono 45 persone, 18 muoiono a causa dell'incidente e 27 sopravvivono anche se alcuni sono gravemente feriti. In quel punto delle Ande la ricerca è difficile e resistere senza cibo, acqua e vestiti è impossibile. Sull'areo viaggia una squadra di rugby di un collegio universitario che da Montevideo sta andando a disputare una partita a Santiago del Cile. Le condizioni metereologiche e un'ulteriore valanga decimano la comitiva uccidendo altre 11 persone e così solo 16 rimangono in vita. La disperazione divenne enorme quando attraverso una radiolina i sopravvissuti sentirono al notiziario l'elenco dei loro nomi e l'annuncio che le ricerche erano state interrotte. Sarà la decisione di mangiare la carne dei cadaveri e la marcia di alcuni ragazzi a salvare la vita ai superstiti che il 23 dicembre del 1972 vennero recuperati.

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