Da qualche tempo è tornata a farsi sentire più battagliera che mai, difendendo quella che da molti italiani è considerata una delle riforme più dolorose della storia repubblicana.

L'ex ministro del Welfare Elsa Fornero, autrice della riforma previdenziale del 2011 che entrò nel più ampio Decreto Salva Italia di Mario Monti, abbandonata la politica non ha mai smesso di interessarsi al destino dell'Italia, da accademica e da cittadina, e si è inserita nel dibattito di questi giorni sullo stato dell'economia italiana, sul debito e le pensioni.

L'ha fatto con il libro "Chi ha paura delle riforme" (Università Bocconi Editore), convinta che l'unico modo di ribattere agli slogan populisti sia far vedere - e capire - la complessità delle cose.

Professoressa Fornero, perché è così difficile realizzare riforme in Italia?

"Essenzialmente per due ragioni: la prima, perché le riforme cosiddette a costo zero sono molto rare, se non inesistenti, e c'è sempre chi deve sostenerne il costo, soprattutto nell'immediato. In secondo luogo, le riforme comportano sempre dei cambiamenti profondi, nei comportamenti delle persone, delle parti sociali e delle istituzioni. Il punto è che non devono essere intese come medicine amare per curare non si sa quale malattia, ma come aggiustamenti della società rispetto a trasformazioni che, lasciate a se stesse, comporterebbero costi anche molto maggiori".

Un esempio?

"Un esempio concreto è proprio quello delle regole pensionistiche, disegnate in un'epoca in cui la demografia del Paese, la crescita economica e l'occupazione erano molto diverse. Oggi dobbiamo confrontarci con un rapido invecchiamento della popolazione e una disoccupazione strutturale, e non possiamo guardare solo al passato per mantenere cose che abbiamo perso, né rifiutare le riforme, perché questo comporterebbe solo maggiori sacrifici successivi".

Elsa Fornero al tempo del governo Monti
Elsa Fornero al tempo del governo Monti
Elsa Fornero al tempo del governo Monti

È l'idea del patto intergenerazionale, che poi stava alla base della "sua" riforma delle pensioni?

"È il punto centrale: il sistema pensionistico è la forma più importante del contratto tra generazioni, fatto con l'avallo dello Stato. Partecipare è obbligatorio, a nessuno viene richiesto se sia d'accordo o meno, e deve essere disegnato non solo guardando al presente ma soprattutto al futuro, pensando che i benefici promessi oggi potrebbero un domani andare a carico di qualcuno in condizioni economiche peggiori delle nostre. La storia non si cambia, non possiamo tornare indietro a quando furono prese decisioni sciagurate come le baby pensioni, ma possiamo cercare di rimediare, per esempio con il contributo di solidarietà sulle pensioni più alte".

Nonostante l'evidenza dei dati, gli italiani fanno molta fatica a digerire queste manovre...

"Perché sono costantemente bombardati da messaggi fuorvianti, qualche volte cinicamente escogitati per additare alle persone un facile responsabile dei loro problemi. In questi anni di crisi economica e disoccupazione allargata, la politica, impaurita dalla prospettiva di perdere consenso, ha escogitato l'espediente di dire 'se tu hai dei problemi, la causa è di volta in volta l'Europa, la signora Merkel, le banche o la Fornero'".

Cattiva abitudine politica...

"È ciò che chiamiamo 'populismo'. È sempre facile trovare un colpevole, ed è una costante storica. Una volta c'era il rogo, oggi c'è quello mediatico. Io, però, resto convinta che la soluzione sia provare a spiegare le cose, anche quelle più tecniche, perché la comprensione può vincere sugli slogan".

A sviare le persone contribuiscono anche i media?

"Assolutamente sì. È impossibile spiegare argomenti complessi in pochi caratteri o qualche battuta e spesso l'informazione si rifugia nel sentenziare, non si discute, non si ragiona e si giudica in modo anche sprezzante, vittime degli slogan che ci hanno nutrito".

Tra Napolitano e Monti, nella foto di gruppo nel giorno del giuramento da ministro
Tra Napolitano e Monti, nella foto di gruppo nel giorno del giuramento da ministro
Tra Napolitano e Monti, nella foto di gruppo nel giorno del giuramento da ministro

Spesso non si hanno competenze economico finanziarie e capire è ancora più difficile.

"Senza voler far diventare tutti esperti, sarebbe importante che accanto all’alfabetizzazione generale ci fosse la comprensione di alcuni elementi base del nostro sistema economico, della gestione dei nostri risparmi e di quanto avviene nell'economia. Senza conoscerne almeno i fondamenti corriamo il rischio di esser vittime di frodi o di scelte imprudenti, o ancora di non comprendere la necessità di alcune riforme e quindi di chiedere alla politica di rimandarle sempre al futuro. Vedi il caso delle pensioni".

Poi, però, si fanno fare a governi tecnici.

"Esatto, scegliendo qualcuno che si assuma la responsabilità di 'fare il lavoro sporco', un'espressione che ho sempre rifiutato, perché ritengo sì di aver fatto un lavoro impopolare che non trovava facile consenso, ma assolutamente necessario. E non per favorire la Germania o i mercati finanziari in astratto, ma per salvare il nostro Paese da una crisi finanziaria che avrebbe avuto effetti devastanti sulle famiglie. Si trattò di scegliere il male minore, che avrebbe avuto positività nel medio periodo".

La commozione dell'allora ministro, nell'annunciare "sacrifici" per gli italiani
La commozione dell'allora ministro, nell'annunciare "sacrifici" per gli italiani
La commozione dell'allora ministro, nell'annunciare "sacrifici" per gli italiani

Quale rischio correva l'Italia nell'autunno del 2011?

"Nell'immediato di trovarsi senza risorse per pagare stipendi pubblici e pensioni. Per rendere l'idea della situazione del nostro debito pubblico basti pensare che per rinnovarlo in media chiediamo in prestito ogni giorno più di un miliardo di euro, 400 ogni anno, e si sa che quando un debito va in scadenza i casi sono due: o si ripaga oppure si va dai creditori e si dice 'guardate, stiamo facendo il possibile, dateci ancora tempo e fiato e lo ripagheremo'. Ma senza il rinnovo di fiducia dei creditori, se cioè dovessero dire 'no, agli italiani prestiti non ne facciamo', dove si prenderebbero i soldi per pagare gli insegnanti, i medici o le pensioni a chi già le prende?"

Dove?

"Noi non stampiamo moneta, e tra parentesi non illudiamoci che uscire dall'euro sarebbe la soluzione per poterlo fare, perché l'effetto immediato sarebbe l'inflazione con conseguenze molto negative sugli stessi risparmi che si vorrebbero salvaguardare. Il rischio, insomma, era di dover sospendere pagamenti e non avere più credito, e quindi avere altri che decidevano al posto nostro, finendo così sotto tutela della troika e perdendo la nostra autonomia".

Tra i banchi del governo in Parlamento
Tra i banchi del governo in Parlamento
Tra i banchi del governo in Parlamento

La linea economica dell'attuale esecutivo le sembra sia abbastanza concentrata sul debito pubblico?

"Sicuramente no ed era evidente già dalla campagna elettorale, che è stata fondata sulle illusioni più che sulla consapevolezza. Anziché rendere i cittadini partecipi delle difficoltà del Paese, si è fatta balenare l'ipotesi che tutto sia possibile, urlando 'prima gli italiani', 'fuori gli immigrati' e 'via le leggi', anche quelle che in questi anni hanno cercato di rimettere il Paese in carreggiata, magari senza risultati eclatanti, ma qualcuno sì. Una campagna elettorale che è stata la fiera degli imbonitori, in cui tutto era a portata di mano: il reddito di cittadinanza, la flat tax, la cancellazione del jobs act e della riforma delle pensioni".

Promesse che hanno costi economici?

"Giocano sulla pelle degli italiani. In campagna elettorale e nel contratto di governo era prevista la cancellazione o l'abolizione della riforma che porta il mio nome, ma una volta arrivati al governo si è passati a una linea più morbida, al concetto di 'superamento'. Le stime del presidente dell'Inps Tito Boeri sui costi di una cancellazione, dell'aumento dell'età pensionabile e del passaggio al sistema contributivo, prevedevano un costo annuo tra i 15 e i 20 miliardi di euro. Quelle circolate in questi giorni parlano di 'soli' 5 miliardi di costi, per ipotesi di intervento inferiori come la Quota 100, più o meno soggetta a condizioni, come l'età minima di 64 anni o il ricalcolo con metodo contributivo, a partire dal 1° gennaio 1996, delle pensioni anticipate. In entrambi i casi è bene osservare come l'importo finale delle pensioni sarebbe più basso, con il rischio che questi pensionati si ritrovino fra qualche anno con una pensione insufficiente a coprire i loro bisogni. La logica di allungare l'età di pensionamento era anche quella di convincere i lavoratori che l'unico vero modo sostenibile per aumentare le pensioni è un allungamento della vita lavorativa".

Per sostenere i costi di questa modifica verranno tolti soldi ad altri settori del welfare?

"Sì, dimenticando di avere una visione d'insieme del welfare, di cui le pensioni sono 'solo' una parte, perché si tratta di un istituto che bilancia i rischi di tutta la vita, a partire da quella fondamentale parte che è l'infanzia, che merita più attenzione e risorse per politiche familiari, asili, scuole adeguate".

Ma non solo...

"C'è poi il welfare che riguarda la formazione delle persone e la loro sfera lavorativa, dove le carriere continue non esistono più e chi perde il lavoro deve essere assistito, magari pagandogli adesso i contributi figurativi invece di fare promesse pensionistiche da qui ai prossimi 40 anni".

Abbiamo populisti al governo?

"Sì, e mi preoccupano, e sento l'impegno come cittadina e docente non tanto di imporre la mia presenza, quanto piuttosto di offrire una prospettiva diversa, che è far vedere e spiegare la complessità delle situazioni e delle soluzioni possibili. Quando promettiamo qualcosa dobbiamo indicare bene chi ne sopporterà le conseguenze e i costi: i vincoli di bilancio non sono certo gradevoli, ma non rispettarli può significare negare ad altri diritti che reclamiamo per noi".

I media con lei non sono mai stati teneri: crede che chi ai tempi la aggrediva verbalmente subirà lo stesso trattamento?

"In Italia l'opportunismo non è certo una categoria sconosciuta, direi anzi che è piuttosto praticata. È facile salire sul carro del vincitore ed è possibile che anche nel mondo dell'informazione ci siano persone disposte a farlo. Proprio per questo c'è il dovere della società civile di offrire una visione alternativa delle cose, con fermezza ma senza aggressività, smascherando anche il cinismo e la vigliaccheria di certe prese di posizione e atteggiamenti che talvolta sanno di squadrismo".

Una manifestazione contro la riforma
Una manifestazione contro la riforma
Una manifestazione contro la riforma

All'epoca nei suoi confronti ci fu una campagna molto personalizzata: fu lasciata sola? Dal centrosinistra e dallo stesso Governo Monti?

"Fu molto personalizzata anche perché sono una donna e da ministro tecnico fu per me più difficile avere momenti d'incontro con la gente per spiegare quanto stavo facendo. Sono stata lasciata sola, è vero, ma fino a un certo punto. Ho avuto le mie ferite, che certo vengono dopo quelle di chi ha subito la riforma senza comprenderne ragioni e benefici di medio termine, ma sono riuscita a mantenere il mio equilibrio facendo leva soprattutto sulla mia coscienza. E anche aver rinunciato al privilegio della 'pensione da ministro' mi ha aiutata. Quanto al sostegno, mi rammarico che la sinistra non abbia saputo cogliere e trasmettere il senso profondo delle riforme, che non nascono per punire qualcuno, ma per migliorare il futuro nostro e dei nostri figli. La riforma è nata in 20 giorni, non poteva essere perfetta e il caso esodati è lì a dimostrarlo, ma era necessaria e andava spiegata, comunicata, condivisa con le persone, monitorata e migliorata. Io l'ho fatto ogni volta che ho potuto, convinta che quando le cose vengono spiegate, anche se la gente non ne è felice, comprende. E comprendere ed essere partecipi è l'essenza stessa della democrazia".

A breve anche lei andrà in pensione...

"Il 1° novembre, ma essendo una persona con ancora molta energia resterò comunque impegnata e manterrò la mia passione per lo studio, la didattica e la ricerca, accanto a impegni più privati come il volontariato, la cura dei nipotini e il giardinaggio".

E se qualcuno le proponesse la politica?

"Direi no grazie, già dato".

Barbara Miccolupi

(Unioneonline)

La copertina del libro
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