A settanta giorni dalle elezioni che hanno terremotato la politica italiana, si può cominciare a tirare le somme e valutare le mosse post voto dei quattro principali leader in campo.

Lo facciamo proprio ora che sembra sia arrivata la svolta: anche se Di Maio e Salvini devono ancora trovare la quadra, è partita finalmente una trattativa. Dopo più di due mesi di manfrine e di una campagna elettorale permanente, che sembrava non finire mai, domenica potrebbe esserci la vera sterzata.

Premessa fondamentale è che le valutazioni non riguardano assolutamente il programma politico o l'ideologia dei diversi partiti.

Il centrodestra al Quirinale
Il centrodestra al Quirinale
Il centrodestra al Quirinale

MATTEO SALVINI 7,5 – Che fosse bravo a fare campagna elettorale lo abbiamo visto tutti, visto che è riuscito a portare la Lega dal 4 al 17%. A sorprendere è stata la sua abilità nel muoversi nella strettoia in cui era chiuso dopo il clamoroso risultato del 4 marzo: da un lato l'ingombrante alleato, con cui governa quasi ovunque nel Nord Italia e grazie ai cui voti è il leader della formazione politica numero uno in Parlamento; dall'altro Luigi Di Maio, l'unico con cui poteva stringere un'alleanza per governare. A differenza di M5S ha tenuto la barra dritta sul programma e ha sempre rifiutato l'alleanza con il Pd. Ha preso atto del risultato elettorale e si è immediatamente detto disponibile a rinunciare al ruolo di presidente del Consiglio. Alla fine, dopo una lunga attesa passata per il trionfo in Friuli, è riuscito a sedersi al tavolo con i pentastellati. Incassando la rinuncia di Di Maio alla premiership e “l'astensione benevola” di Berlusconi, che gli permette - almeno per ora - di non rompere con l'ex Cav. Non a caso, stando ai principali sondaggi pubblicati su giornali ed emittenti tv, la Lega ha guadagnato altri 7 punti percentuali dopo il 4 marzo, in gran parte rosicchiati a Forza Italia.

Salvini parla, Berlusconi mima: lo show dell'ex Cavaliere
Salvini parla, Berlusconi mima: lo show dell'ex Cavaliere
Salvini parla, Berlusconi mima: lo show dell'ex Cavaliere

SILVIO BERLUSCONI 6,5 – Quel poco o nulla che aveva in mano il 5 marzo, il buon vecchio Cavaliere lo ha capitalizzato bene ed è riuscito ad ottenere il massimo. È stato praticamente costretto a cedere e ad avallare la nascita di un governo Lega-M5S. Tuttavia ha evitato il voto (era l'ultima cosa che voleva, visto che FI rischierebbe di scomparire), non è stato abbandonato da Salvini ma è stato lui a permettere – quasi da padre nobile – la nascita del governo per “senso di responsabilità”. Ha perso le elezioni e dopo due mesi di strenua resistenza si è arreso. Ma tutti – Mattarella compreso – il 9 maggio pendevano dalle sue labbra, aspettavano una sua dichiarazione per dare il via alle trattative. Ha dato insomma la sensazione di contare più di quanto in realtà dicano i numeri in Parlamento, e capiremo presto se ha avuto anche delle contropartite o perlomeno garanzie.

Resterà negli annali il suo show mentre Salvini riferiva alla stampa dopo il secondo giro di consultazioni con il Capo dello Stato. Sembrava il colpo di coda di un leader in decadenza e invece l'ex Cavaliere – che pure in decadenza è, eccome se lo è – riesce ancora a calcare la scena come pochi.

Matteo Renzi e Maurizio Martina
Matteo Renzi e Maurizio Martina
Matteo Renzi e Maurizio Martina

MATTEO RENZI 5 – Alla fine potrebbe ottenere quel che voleva, un governo Lega-5S a cui fare opposizione, ma non per merito suo. Non fanno bene a un partito già ridotto ai minimi storici il 4 marzo le sue dimissioni-farsa. Non fa bene un'intervista in tv per fermare sul nascere una discussione che andava svolta negli organi interni al partito. Non giovano il continuo rinvio dell'iter congressuale, l'ipocrisia di un leader dimissionario che governa nell'ombra e quella dei leader che si scannano sui social e a mezzo stampa per poi produrre documenti di compromesso da votare all'unanimità quando si tratta di andarsi a contare in direzione. E anche sul dialogo coi pentastellati: giusta la linea dell'opposizione, ma rifiutare persino l'avvio di una discussione in un sistema proporzionale è poco serio. Così come appare poco serio bramare per un governo Lega-M5S e non appena questo inizia a vedere la luce lamentare rischi per la democrazia.

Il partito, insomma, versa in pessima salute. Ed è soprattutto colpa del suo leader. Solo un lungo periodo di opposizione a un governo Lega-M5S lo può rinvigorire. C'è da capire chi ne trarrà giovamento. Renzi o il Pd? Non è detto che le due strade coincidano.

Luigi Di Maio
Luigi Di Maio
Luigi Di Maio

LUIGI DI MAIO 4,5 – Certo è strano che non appena il Movimento 5 Stelle diventa il primo partito in Italia si torni a parlare di politica dei due forni e si tornino a sentire termini che appartengono al vocabolario della Prima Repubblica. Luigi Di Maio subito dopo la notte del voto ha completato la trasformazione già avviata nel corso della campagna elettorale, diventando un democristiano atipico. Un po' schizofrenico, senza l'aplomb e l'equilibrio del vecchio Dc. Perché un giorno allude a presunte fidejussioni e torbidi rapporti tra Salvini e l'ex Cav, quello dopo dice che il leghista è una persona leale. Quando apre al Pd dice che “Con la Lega abbiamo chiuso definitivamente”, quando Renzi gli sbatte la porta in faccia torna a citofonare a Salvini.

Sessanta giorni a reclamare e pretendere la presidenza del Consiglio poi, quando tutto converge verso il voto subito, rinuncia anche a quella. E alla fine anche il tabù Berlusconi è caduto, arduo pensare che il beneplacito “critico” e “benevolo” del leader di Forza Italia sia del tutto gratuito e disinteressato: dimostrazione ne è la dichiarazione affettuosa di Di Maio nei confronti dell'ex premier, come le indiscrezioni secondo cui nel programma di governo non ci sarà il cavallo di battaglia M5S, la legge contro il conflitto d'interessi. Inoltre, visti i numeri molto risicati che la maggioranza Lega-M5S avrebbe al Senato, potrebbe servire più di una volta il soccorso azzurro.

Troppi i tabù sacrificati sull'altare di un governo a tutti i costi: dalle alleanze al rapporto con Renzi e il Pd, dalla premiership a diversi punti programmatici. Poco serio rivolgersi contemporaneamente a due forze politiche agli antipodi come la Lega e il Pd. Militanti ed elettori pentastellati sono in fermento e lo si vede sul Web. Di Battista ancora non è andato in Guatemala. Di Maio sa che questa legislatura potrebbe essere la sua ultima occasione. E se la tiene stretta finché può. La trattativa vera in fondo è appena iniziata, e il 31enne di Pomigliano d'Arco ha tutto il tempo per migliorare. Il coraggio non gli manca, la sfacciataggine pure.

Una nota di merito a Giorgia Meloni per la sua (inutile) costanza nel chiedere l'incarico a Salvini per un governo di minoranza del centrodestra. Non pervenuto Pietro Grasso.

Davide Lombardi

(Unioneonline)

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