Una piccola, grande rivoluzione che parte oggi e che coinvolge tutta la filiera della produzione e della commercializzazione di pasta e riso: per questi due alimenti c'è finalmente il via libera all'etichetta di origine obbligatoria che vede l'Italia al primo posto in Europa per produzione, rispettivamente con 4,3 miliardi di chili (di grano duro) e 1,5 miliardi.

La norma metterà fine - si spera - alla proliferazione di prodotti, come nel caso della pasta, fatto con grano straniero (si parla di un pacco di pasta su tre in commercio), come pure straniero è un pacco di riso su quattro, senza che questo fosse fino a ora indicato in etichetta.

"È la strada giusta che tutela produttori e consumatori", sostiene il presidente di Coldiretti Sardegna, Battista Cualbu. "Ciò significa dare al consumatore la possibilità di comprare coscientemente", aggiunge il direttore di Coldiretti Sardegna, Luca Saba, "e dargli la possibilità di poter conoscere la provenienza e poter dare un contributo alle realtà produttive del proprio Paese e con esse il lavoro e l’economia del territorio".

Nell'Isola - la Sardegna è una delle maggiori produttrici d’Italia - si coltivano a riso circa 3.400 ettari (circa il 92% a Oristano, il resto nel Medio Campidano), mentre le altre regioni che producono di più il riso sono Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

L'indicazione in etichetta dell’origine per il riso deve riportare le diciture "Paese di coltivazione del riso", "Paese di lavorazione" e "Paese di confezionamento".

Qualora le fasi di coltivazione, lavorazione e confezionamento del riso avvengano nello stesso Paese, può essere recata in etichetta la dicitura "origine del riso", seguita dal nome del Paese.

In caso di riso coltivato o lavorato in più Paesi, possono essere utilizzate le diciture "UE", "non UE", e "UE e non UE".

I prodotti che non soddisfano questi requisiti immessi sul mercato o etichettati prima dell'entrata in vigore dello stesso, possono essere commercializzati fino all'esaurimento scorte.

(Unioneonline/m.c.)
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