Sono cifre da capogiro, quelle dei giganti del Web in Italia.

Secondo gli ultimi dati forniti dall'Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), relativi al 2015, si tratta di un giro d'affari che supera 1,7 miliardi di euro.

E questa è solo l'ultima cifra, che va sicuramente rivista al rialzo, visto che dal 2010 al 2015 queste imprese hanno registrato un incremento del 41%.

Due giganti come Google e Facebook hanno versato nelle casse dell'Erario 2,4 milioni di euro, a fronte di ricavi, nella sola Italia, per 870 milioni.

Le due aziende versano dunque al fisco lo 0,3% di quello che ricavano.

L'intero settore è passato, in termini di ricavi, dai 62 miliardi del 2011 ai 143 del 2015, con un incremento del 130%.

Visti i numeri, è normale che il Parlamento e il governo siano al lavoro per introdurre una normativa che consenta di tassare un settore che fino a pochi anni fa non esisteva.

Il primo tentativo di introdurre la cosiddetta web tax risale al 2013, con una misura che vietava alle imprese di acquisire servizi pubblicitari online da aziende senza una partita Iva italiana. Quella norma però venne prima sospesa, poi abolita.

Così, nel vuoto normativo che caratterizza la legislazione italiana, si va avanti con gli accordi diretti con le aziende.

Prima con Apple, che ha versato nel 2015 318 milioni per far pace col fisco. Poi con Google, che di milioni ne ha versati 306.

E proprio da domani, giorno in cui inizia in commissione Bilancio alla Camera l'esame del decreto legge di correzione dei conti pubblici, sarà discussa la proposta di web tax presentata da Francesco Boccia. Un norma che, secondo chi l'ha proposta, potrebbe portare nelle casse italiane un miliardo già nel 2017.

Tuttavia l'intenzione del governo, per il momento, pare essere quella di proseguire sulla strada degli accordi con le singole aziende.
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