Borse asiatiche a picco.

Shanghai ha chiuso a -5.9 per cento; Shenzen a -2.9 per cento; Hong Kong a - 5.8 per cento. E l'indice Hang Seng ha toccato punti di ribasso dell'8 per cento, mentre sono state congelate contrattazioni per 1.400 miliardi di dollari su circa 1.200 titoli quotati.

"Contagiata" anche la piazza di Tokyo, in calo del 3.1 per cento.

Una giornata nera, dominata dal panico, sulla quale - dicono gli analisti - non avrebbe però avuto alcun peso la crisi greca.

Piuttosto, il tonfo sarebbe stato innescato dalla sfiducia degli operatori nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, nonostante gli interventi e le promesse delle autorità Pechino, che hanno cercato di sostenere il mercato.

Per correre ai ripari, il governo ha ordinato alle compagnie statali di comprare azioni, ha aumentato la quantità di azioni che le compagnie di assicurazioni possono acquistare e ha promesso di continuare a fornire liquidità a credito agli investitori.

Articoli comparsi su molti media vicini al governo, come la rivista Caixin e il quotidiano Global Times, accusano l'agenzia responsabile del controllo del mercato, la China Securities Regulatory Commission (Csrc) di aver gestito nel modo sbagliato la crisi del mercato azionario, ingannando gli operatori che avrebbero concesso una fiducia eccessiva agli interventi "correttivi" delle autorità.

Alcuni commentatori hanno affermato che la crisi "è diventata

politica" mettendo in imbarazzo il premier Li Keqiang, massimo

responsabile dell'economia, e che potrebbe costare il posto al

presidente della Csrc Xiao Gang.

Gli indici di Shanghai e di Shenzhen hanno registrato una

crescita del 150% a partire dal giugno del 2014. Tre settimane

fa hanno cominciato la discesa che ancora non è finita e che ha

visto il valore complessivo delle Borse ridursi di oltre il 30%.
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