Il prezzo del greggio crolla, le quotazioni internazionali della benzina anche, ma gli automobilisti che vanno a fare il pieno non hanno di che gioire. Al distributore, infatti, il prezzo dei carburanti non scende in proporzione, e stavolta sul banco degli imputati non sembra di dover spingere le solite compagnie petrolifere, ma l'Erario, perché la zavorra fisco ancora i listini a una media di 1,7 euro al litro.

Tra il boom della produzione americana e i ripetuti allarmi sulla crescita asfittica in Europa, il prezzo del greggio da giorni è in caduta libera. Il Wti, il petrolio americano, si aggira sugli 86 dollari, mentre il Brent, quello europeo, oscilla sui 90 dollari. Un livello che ha fatto precipitare le quotazioni internazionali della benzina a circa 500 dollari per mille litri, vale a dire ai minimi dal novembre 2011. Allora, però, la benzina costava circa 1,58 euro al litro, mentre oggi, stando ai dati del ministero dello Sviluppo economico che calcola la media tra servito, non servito, pompe bianche eccetera, siamo a 1,72 euro circa. La differenza è dunque di 14 centesimi, guarda caso proprio più o meno l'aggravio fiscale scattato, tra accise e aumento dell'Iva, dal 2011 a oggi (14,5 centesimi). Insomma, il prezzo alla pompa è cresciuto per il solo effetto del fisco, che ha annullato quello del cambio, stimato in circa 4 cent.

Il colpevole va individuato nella componente fiscale, anche se il confronto si fa con l'ultima volta in cui il petrolio si trovava ai livelli di oggi, vale a dire il dicembre 2010. Ebbene, allora il prezzo alla pompa era addirittura pari a 1,430 euro, vale a dire 29 centesimi inferiore a quello di oggi. In questo caso ben 24 centesimi vanno addebitati alle richieste dell'Erario, mentre gli altri 5 sono dovuti all'effetto cambio e a un aumento del prezzo industriale di circa 1 centesimo. Nell'ultima settimana dopo il marcato calo di mercoledì le quotazioni internazionali hanno proseguito la discesa e negli ultimi giorni si è registrato un lieve ribasso dei prezzi dei carburanti, ma si tratta, precisa il Quotidiano Energia nell'ultima rilevazione, di diminuzioni col freno a mano tirato tanto che il tradizionale divario tra i marchi più importati e i no logo sui prezzi praticati si allarga ancora.
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