Qualche giorno fa l'Onu ha reso nota l'indagine condotta nel 2017 in Birmania sulle violenze e le deportazioni della minoranza etnica dei Rohingya, chiedendo l'incriminazione dei vertici militari del Paese per genocidio e crimini di guerra.

Anche se non direttamente, l'accusa tocca da vicino anche la leader brimana e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, per non aver usato la propria autorità per evitare l'operazione di "pulizia etnica" che da più di un anno sta avvenendo nella regione del Rakhine.

Una responsabilità, quella che pesa sulla leader brimana, talmente grave da far ventilare l'ipotesi di un ritiro del prestigioso riconoscimento assegnatole dalla Fondazione Nobel nel 1991.

Ma è lo stesso comitato norvegese che coordina i Premi Nobel, tramite una dichiarazione del suo presidente alla Cnn, a far sapere che una revoca non è possibile, semplicemente perché non è prevista dallo statuto della Fondazione Nobel.

Discorso diverso, invece, per la richiesta di dimissioni di Aung San Suu Kyi avanzata oggi dall'Alto Commissario Onu per i diritti umani Zeid Ràad Al Hussein: non c'è nessuno statuto che le impedisca, solo una questione di coscienza.

(Unioneonline/b.m.)

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