In prima fila i vescovi della Sardegna, il preside della Facoltà teologica, alunni ed ex del Seminario regionale. Quando prende la parola, monsignor Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato Vaticana, tradisce un filo di commozione. Ricorda gli anni trascorsi fra Cuglieri e Cagliari, l'abbraccio con compagni che non vedeva da venti-trent'anni, la sua nuova missione sacerdotale a fianco di Papa Francesco.

E proprio a parlare di sacerdozio nel magistero di Papa Francesco lei è qui a Cagliari, anche a sottolineare i 90 anni di fondazione del Seminario regionale.

«Un tema di estrema attualità non solo e non tanto per una questione numerica, legata al calo delle vocazioni, quanto alla sfida che ci arriva da una società in profondo cambiamento».

Seminari deserti, parrocchie senza guida, una crisi che sembra senza sbocco.

«Occorre guardare in faccia la realtà. È quello che ci ripete senza tregua Papa Francesco. Fra uno sterile pessimismo e un'inutile nostalgia per i tempi passati, il rischio è quello di generare preti frustrati incapaci di dare risposta alle domande che oggi il mondo ci chiede».

C'è quindi l'esigenza di definire l'identità del prete nella Chiesa post-conciliare, al di là di una crisi che non è solo quella legata al calo delle vocazioni.

«Secondo il magistero di Papa Francesco dobbiamo aiutare i sacerdoti a scoprire - meglio a ri-scoprire - la dimensione del vivere in comunione, di vivere in famiglia».

Come dire, basta "parroci single", tutti "chiesa e canonica" e più sacerdoti - sullo stile dei religiosi - che vivono insieme, in comunità?

«Per un frate è ovvio vivere la dimensione comunitaria, perché parte essenziale del suo essere religioso. Per i sacerdoti non è un obbligo ma una proposta di vita. Comunione non è vivere sotto lo stesso tetto. Se succede è ancora meglio, come avviene ad esempio nelle zone pastorali , gruppo di parrocchie gestite da un pool di sacerdoti che vivono insieme. Ma significa avere prima di tutto la predisposizione d'animo a vivere questa dimensione di comunione, di sapersi membro della stessa famiglia, di ricercarsi nei momenti non solo di difficoltà».

La chiesa "sinodale" di Papa Francesco, ma anche quella di don Mazzolari e del suo "Camminare insieme".

«Un aspetto fondamentale ed essenziale a cominciare dalla comunione prete-vescovo. Senza questo si rischiano cose forti: l'aridità, lo scoraggiamento, il vivere di nostalgismo».

Una visione, questa, che deve orientare soprattutto il percorso vocazione dei giovani candidati al sacerdozio.

«Anche ai miei tempi si sentiva questa esigenza, forse anche in maniera più marcata. C'era l'entusiasmo del Concilio e si volevano tentate forme nuove di vivere il sacerdozio. Oggi forse è un'esigenza più attenuata. Ma questa deve essere la strada maestra, ed è l'invito pressante che io rivolgo ai sacerdoti, giovani o meno, per una sempre maggior efficacia dell'apostolato».

La società, i giovani, le famiglie chiedono nuovi modelli, più vicini alle mutate esigenze del terzo millennio.

«Alla gente piace vederci insieme, piace vedere il prete che si sporca le mani, che si mette in discussione. In questo modo è anche più semplice e immediato riscoprire il ruolo del laico nella chiesa, andando così a completare quella visione "sinodale" tanto cara a Papa Francesco».

In questo senso è fondamentale il ruolo di "agenzia educativa" che svolgono i seminari.

«Assolutamente. C'è da chiedersi: i nostri seminari educano i giovani aspiranti al sacerdozio a una corretta vita di relazione fra loro e con gli altri? Papa Francesco insiste tanto su questo punto: educare alla realtà per non correre il rischio di ordinare sacerdoti che hanno paura di stare nel mondo e che magari si rifugiano in comportamenti o mode che denunciano questa carenza di formazione».

La scelta della talare sempre e comunque può nascondere un ritorno a certe forme di clericalismo.

«Preoccupa che questo clericalismo si diffonda soprattutto fra i giovani preti che non possono avere nostalgia (al contrario dei loro confratelli più anziani) di tempi che non hanno conosciuto. Ciò su cui dobbiamo insistere è - per ovviare a queste forme di invidualismo - il modello di prete che, prima di tutto, deve confrontarsi con il suo presbiterio, con cui condividere, in un confronto continuo e reciproco, il valore della povertà, della castità e dell'obbedienza».

Papa Francesco, con una forzatura della lingua italiana sempre più frequente (i mafiosi «spuzzano», una delle più recenti), parlando ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo, ha coniato il verbo "misericordiare" indicando forse il tratto genetico, il Dna del prete-pastore.

«Troppo facile puntare il dito e giudicare. Troppo semplice giudicare e giustiziare: spesso perché manca una autentica esperienza di misericordia. Papa Francesco ci ha ripetuto che "non ci si improvvisa confessori se non si è prima ancora penitenti". Ecco allora come ci sia bisogno di questo "sguardo di Dio" sulle persone e sulla realtà».

Siamo nel cuore del magistero di Bergoglio...

«Certo, di una Chiesa costantemente in uscita per ritrovare se stessa fuori di sé nella povertà e nella compassione. In questo scenario il prete diventa "uomo dell'inclusione", che accompagna e non sgrida, ma è pronto a comporre e comprendere. Direi una persona "normale", il fratello con il quale condividere il tratto di strada assegnato dalla Provvidenza».

Torniamo al calo delle vocazioni, soprattutto fra i giovanissimi. Perché è diventata una scelta così rara che non riscalda più i cuori dei ragazzi?

«Non voglio concettualizzare troppo il discorso. Cinquant'anni fa il prete era una sorta di factotum, dall'organizzazione di campeggi all'oratorio e fino all'amministrazione dei beni ecclesiastici. Questo tipo di prete affascina i giovani oggi? Io credo che ci sia una richiesta più forte per un uomo esperto di comunione, della Parola di Dio, di spiritualità»

Proviamo ad allargare l'orizzonte. Lei ha un trascorso diplomatico che l'ha portato a reggere nunziature in diverse parti del mondo, dall'Angola a Cuba. Nell'inquietante scenario della "guerra mondiale a pezzi" come leggere la crisi siriana. È vero che fate fatica a trattenere Papa Francesco da un blitz in quella terra martoriata?

«Purtroppo si scontrano interessi locali, delle grandi potenze, contrastanti visioni ideologiche e religiose. L'auspicio è quello che non si interrompa mai il dialogo. Quanto alla sua battuta, impossibile legare il Papa. Se servisse lo farebbe subito. Mi creda, non c'è nessuno che lo possa fermare».

Paolo Matta

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