Matteo Porru ha una voce allegra e vivace. Cosa comune in un 17enne, ma lui non è comune come tanti suoi coetanei. Vive e studia a Cagliari (liceo Dettori ), ha una passione sfrenata per gli aerei civili, tanto che la sera, dopo il dovere del buon studente, si concede il piacere di fare un volo col suo simulatore. Ma la grande passione che lo rende quasi "speciale" è un'altra.

Padre cagliaritano e mamma veneziana, nato a Roma “ma subito tornato indietro”, come racconta lui stesso, è "una promessa della letteratura italiana e faro culturale, odierno e futuro": questa è la menzione speciale che gli è stata conferita dalla giuria del Premio Letterario Costa Smeralda nel 2017. Inoltre, sul suo curriculum vanta 16 libri (pubblicati online) e The Mission (edito nel 2017 da La Zattera), debutto su carta con cui ha partecipato al Salone del libro di Torino, alla buchmesse di Francoforte (il più giovane autore di sempre a prendervi parte) e al salotto di Maurizio Costanzo, "impressionato da questo ragazzino in giacca e cravatta”.

A un anno dal debutto di The Mission cosa è cambiato?

“Io non sono cambiato. Sono il Matteo di prima, con gli occhi sognatori ma purtroppo, anche se forse è più un pregio, con i piedi per terra, pronto ad analizzare tutte le cose con molto rigore. Se una cosa è cambiata, è la fama, se così posso chiamarla. L’impatto con il pubblico è diventato impressionate, soprattutto dopo la partecipazione a "S'è fatta notte", il programma televisivo condotto da Maurizio Costanzo su Rai Uno. Per me che avevo un seguito prettamente regionale, le interazioni sono schizzate alle stelle anche sul piano nazionale. Oltre al mio libro, quello che si è scoperto credo sia il ‘personaggio’. Il 17enne che scrive può essere qualcosa di strano, ma il ragazzo in giacca e cravatta, che parla in un determinato modo, la ‘macchietta’ per intenderci, lo è ancora di più. Avevo paura che quest’ultimo potesse sovrastare l’aspetto letterario, ma per il momento convivono entrambi molto bene”.

Non vorrà mica darsi alla tv?

“Perché no, il piano è anche quello. Ho soltanto 17 anni e tutto quello che mi accade, anche di piccolo, cerco di trasformarlo nella cosa più bella, così nella scrittura come nella vita. Cerco sempre di motivarmi e di andare oltre. Trovo che la televisione sia una finestra sul mondo ‘deviata’, con tutti i trucchi, le telecamere e le luci, un mondo in cui devi capire come entrare ma soprattutto come rimanerci, anche da piccola comparsa”.

Lei è il più giovane scrittore che abbia partecipato alla Fiera del libro di Francoforte, che esperienza è stata?

"Un’esperienza umana enorme. Da una parte c’era Dan Brown, dall’altra Stephen King, c’erano i grandi dell’editoria mondiale e io ero lì... da non crederci! Ho partecipato alla fiera del libro più importante d’Europa, il tetto massimo dell’editoria che dovrebbe arrivare al culmine della carriera di uno scrittore. La fiera poi è immensa e la quantità di gente impressionante: ho incontrato tanti italiani e ho venduto tutte le copie del mio libro, uscito soltanto una manciata di mesi prima. Ci sono arrivato al primo anno, ora che carte mi gioco?”.

Quando ha iniziato a scrivere e cosa le dà la scrittura?

“Ho iniziato a 8 anni: sin da piccolo vedevo le cose diversamente rispetto agli altri miei coetanei. Ho sviluppato nel corso degli anni una forte profondità emotiva che insieme all’attenzione per i dettagli mi ha permesso di poter raccontare delle storie. Il soffermarmi sul modo di camminare della gente per strada, sulla sigaretta gettata a terra, ad esempio: riuscivo a vedere i dettagli. Ma una storia vaga non interessa a nessuno, il bello è andare a cercare dentro la mente delle persone cosa pensano, cosa sognano e di cosa hanno paura. Questo mi dà la scrittura. Prima era una valvola di sfogo per raccontare quello che vedevo, ora è una lente d’ingrandimento su un mondo che non sempre la gente vede con gli occhi che dovrebbe. La scrittura aiuta perché non solo “fa vivere 5mila anni” come dice il sommo Umberto Eco, ma perché ti dà la possibilità di connetterti con persone che non hai mai conosciuto. Leggi un libro, incontri un personaggio e magari questo ti rimane dentro per sempre per una sua mania”.

Che consiglio darebbe a un giovane che, come lei, vorrebbe diventare uno scrittore?

“L’editoria è un campo impossibile, specie alla mia età. Ci entri solo se hai una buona storia e una pazienza eterna. Tutti i miei libri li ho scritti nella speranza che qualcuno si accorgesse di me. A 11 anni ho provato a pubblicarli online, improvvisandomi editore di me stesso, ma dovevo trovare un quid giusto della persona che si appassiona: nella copertina, nel titolo, in una parola. Se n’è accorto Alessandro Cocco, che è stato un capitano di vascello meraviglioso: se non fosse per la casa editrice La Zattera ora sarei ancora nel dimenticatoio a scrivere storielline. Quindi il consiglio a un giovane è calma, paradossalmente. Calma, pazienza e perseveranza e l’occasione arriva. Forse non subito, dieci, venti, trent’anni: non c’è un orologio per l’editoria, ci sono solo parole e quando qualcuno si accorge delle tue sei a posto”.

Il giovane autore
Il giovane autore
Il giovane autore

In Italia si legge sempre meno soprattutto nella fascia d’età tra i 15 e i 17 anni; la scuola potrebbe fare di più per educare alla lettura?

“La scuola potrebbe fare meglio, questo sì, ma i passi avanti - per quanto posso riferire della mia esperienza - li vedo già. Li vedo nella libertà che viene lasciata ai ragazzi di scegliere quali libri portare con sé durante le vacanze, per dirne una. Ovviamente ci sono dei capolavori che devono essere letti, ma forse non studiati con quella maniacalità che si usa fare oggi. Un esempio, non farei mai studiare in maniera così approfondita ‘I promessi sposi’. Un capolavoro assoluto della letteratura italiana, il più bel testo di tutti i tempi, lo si distrugge nel momento in cui gli si fa fare un’analisi troppo critica.

Invece?

"I ragazzi dovrebbero invece soffermarsi sulla bellezza di personaggi come l’Innominato, Renzo e Lucia, Don Abbondio, che hanno sfaccettature meravigliose e rappresentano ancora oggi degli stereotipi per gli autori. La scuola tende invece a scolarizzare troppo i libri. Bisognerebbe lasciare la prerogativa di leggerli con libertà assoluta. La lettura aiuta non soltanto la cultura, ma anche il vivere. Molto spesso delle lezioni di vita meravigliose non le abbiamo apprese dai genitori o dai nonni, ma dai libri, dal modo gentile o irriverente con cui si comporta un personaggio. Tra i miei compagni manca il desiderio di andare avanti e setacciare, trovare qualcosa tra le parole. Assistiamo alla banalizzazione della forma d’arte più bella del mondo”.

Quali libri l'hanno più formata e qual è l’ultimo letto?

“L'immancabile “Tre volte all’alba” di Alessandro Baricco, “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. L’ultimo? Sempre della regina del giallo: ‘Assassinio sull’Orient Express’, impareggiabile”.

Si è mai sentito diverso?

“Eccome, e così mi sento rispetto ai miei coetanei. Due differenti lunghezze d’onda con cui percepiamo la realtà, gli affetti, le situazioni. Ora tutto con il tempo si è allentato, ma quando frequentavo le elementari, sono stati anni infernali. Del vero e proprio bullismo psicologico. Lo scrivo anche in ‘The Mission’: non fumavo? Non mi ero realizzato. Non mi esprimevo in un determinato modo? Non ero affermato come persona. Mi dicevano che il mio ambiente di vita non sarebbe stato altro che il mio mondo. E gli credevo, credevo di essere un fallito, ma mi sono rifiutato di esserlo”.

Come?

“Giocandoci sopra. Sulla mia stranezza ho costruito il personaggio che sono ora. Ciò che la gente vedeva strambo, adesso è diventato la chiave di volta di tutta la mia vita”.

Come nasce un libro?

“Da un niente. Il nuovo romanzo è iniziato una sera in un ristorante. Entro in un bagno, trovo dentro un bambino che si lava le mani con l’aiuto del padre. Il piccolo vede l’acqua ed esclama: ‘Piove’. Io su questa immagine, su quella intensità, ho creato tutto il resto. È come se il cervello di uno scrittore diventasse un campo bianco. Lì inizi a disegnare con la mente: luci, contrasti, filtri luminosi, musica. Io entro in una sorta di quarta dimensione in cui guardo tutto come se fosse uno spettacolo teatrale. Ecco la scenografia, ecco il protagonista, ecco la strada, ecco tutti gli altri personaggi“.

A proposito, è in arrivo il suo secondo libro…

“Uscirà presto sempre per La Zattera, non dico quando solo per scaramanzia. S’intitola “Quando sarai grande”, si sviluppa tra Milano e Genova e racconta di una famiglia, la Baleri, molto variegata. Cinque personaggi, ognuno dei quali con una vita meravigliosa, fino a quando arrivano dei problemi inaspettati. Tutto si svolge in una notte d’estate, la notte di Ferragosto, dopo una partita a scacchi persa da qualche ora. È un romanzo drammatico ma che io amo definire ‘miele-amaro’. Ti lascia un buon gusto, un messaggio positivo”.

Altre passioni oltre alla scrittura?

“Quella per l’aviazione. In camera mia, appena si entra, c’è il modello di un Ceesna 80, in scala 1:20, dall’altra parte una ventina di modellini di aerei civili, un simulatore di volo e le mensole pieno di libri. Insomma, la mia camera è un cielo con una quarantina di aerei”.

Ora il Classico , poi cosa farà?

“Sicuramente Lettere antiche. Ho avuto una prof che mi ha fatto innamorare del greco e ho una nonna che da piccolo mi raccontava l’Iliade e l’Odissea, non potrei scegliere niente altro. Adoro il suono delle parole greche, la fonetica, la musicalità che si portano dietro”.

Dopo l’intervista cosa fa un 17enne scrittore?

“Andrà a studiare per l’interrogazione di domani. Poi chiuderà il libro, si metterà a fare un volo con il simulatore, darà un ultimo sguardo al nuovo libro prima del revisore di bozze. Farà una chiacchierata con i suoi amici e infine sarà già sera. Un’oretta davanti alla tv. La coperta, il letto e domani sarà già un altro giorno”.

Simona Arthemalle

(Unioneonline)
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