Perché parlare ancora di "green"? Perché le emergenze ambientali sono sotto i nostri occhi: le temperature si stanno alzando, le risorse idriche diventano il nuovo petrolio, mentre le scelte della Conferenza sul clima di Parigi del 2015 sono seriamente messe in discussione – Trump docet - e comunque potranno dare risultati soltanto a lungo termine.

Nel frattempo, la green economy ha abbracciato aree e campi nuovi, allargando il suo perimetro di influenza a vari ambiti della vita quotidiana di tutti noi: dalla mobilità sostenibile alle pratiche di consumo collaborativo e condivisione, con la nascita di nuove imprese e nuovi modelli di business che beneficiano del potente acceleratore della trasformazione digitale. E anche l'approccio delle aziende alla sostenibilità sta cambiando.

A darci conto dei mutamenti in atto è "Future Energy. Future Green" (Mondadori Università, 2018, pp. 632), vera e propria antologia del verde che c'è già e di quello che verrà.

A curare il volume, che porta anche la firma di Victor Uckmar, giurista scomparso nel dicembre 2016, il giornalista Maurizio Guandalini a cui chiediamo come prima cosa quali sono gli ambiti in cui negli ultimi anni sono stati fatti i maggiori progressi in ambito "green".

"Green è un termine sconfinato, ormai. La raccolta differenziata è un grande risultato. Così come l’efficientamento energetico delle abitazioni. Gli incentivi hanno fatto molto. Incentivi e sanzioni sono modi ancora validi per 'convincere' con le buone i cittadini. Ma sono lampi di luce su lande oscure".

Quali sono queste lande oscure?

"Partiamo dalla qualità dell’aria. I blocchi delle auto non contano nulla. Sono dei pannicelli caldi. In Italia viaggiano 4 milioni di auto Euro 0. Inquinanti al massimo. La Valle Padana è una delle zone più inquinate d’Europa. Il maggiore responsabile della situazione è però il riscaldamento. Nella sola Milano se nel giro di un anno obbligassero i proprietari di casa a mettersi in regola con le caldaie non sarebbe necessario il fermo macchine. Sul tema ambientale viaggia molta ipocrisia e poca responsabilità. Come la costruzione della case. Ti dicono di farle di paglia, ad esempio. Ma poi, in pratica, quando devi metterti lì, ottenere i permessi, fare i progetti, le verifiche ti ritrovi solo con parcelle da pagare e quindi ti ributti sul cemento".

Esiste veramente una green economy capace di sostituire l'economia tradizionale?

"Serve coraggio. È appena trascorsa una campagna elettorale. Partiti e leader non hanno detto parola sul green. Paradossalmente il solo programma politico green è l'enciclica papale Laudato si'. Prendiamo l'acqua. Cosa c'è più di un bene comune dell'acqua? Il problema, a breve, di società cosiddette avanzate, come quelle occidentali, sarà l'accesso a fonti di acqua potabile. Intervallato dall'angusto problema della siccità. Soluzioni? Silenzio. Parliamo di dissesto idrogeologico e di prevenzione. Con decine di miliardi di euro di investimento metteremmo in sicurezza il Paese. E l'economia potrebbe ritornare a girare rapidamente. Se ne parla, però, solo a sproposito in attesa di un prossimo disastro".

Su cosa si deve puntare se vogliamo un futuro in cui l'energia sia più sostenibile?

"Lo slogan è 'rinnoviamo le rinnovabili'. È parere concorde che una mera politica di incentivi pagata da tutti i contribuenti attraverso la bolletta elettrica non è il massimo dei mondi possibili. Partiamo, però, dai dati. A metà del secolo il 77% della nuova capacità installata verrà dal sole e dal vento, il 13% dal gas naturale, il 10% dal resto. Nel 2050 le rinnovabili, escluso l'idroelettrico, produrranno più del 30% dell’energia globale (rispetto al 6% del 2014). Mi pare che la strada sia tracciata. Si tratta di mettere in autonomia un sistema che sta sostituendo qualcosa di vecchio destinato alla rottamazione. La mentalità, la cultura non sono processi brevi e facili".

E cosa si deve fare per avere una agricoltura veramente green?

"Ci affidiamo ai tanti giovani che sono ritornati a lavorare la terra. Il vero boom di forza lavoro è dato dalle nuove aziende nate negli ultimi due o tre anni. E si tratta di agricoltura per lo più biologica. Dove si presta estrema attenzione a come si produce. La cura della coltivazione è primaria. Perché a fianco della carenza d'acqua oggi c'è lo sfruttamento dei terreni e l'utilizzo pericoloso dei pesticidi. Sul fronte bestiame ormai ci stanno creando allevamenti moderni con strutture avanzate di recupero e riciclo delle deiezioni animali. Anche qui vale il paradigma di cui parlavamo prima: resistere, resistere, resistere".

Quale ruolo devono svolgere i singoli per sostenere realmente una rivoluzione che ci porti a costruire un mondo più "verde"?

"La Terra è fragile mentre si pensa allo sfruttamento immediato delle risorse senza garantire la vita delle generazioni future. Dobbiamo abituarci a un livello sempre più basso di qualità della vita? Ci vuole piuttosto responsabilità. E soprattutto l'education prima del business".

Quale futuro dovremmo essere capaci di costruire e quali rischi corriamo se non invertiamo determinate tendenze tradizionali?

"Non mi piace il catastrofismo, ma comprendo che serve per allertare. Mettere sul chi va là. Uno studio pubblicato su The Lancet, spiega come, prima della fine del secolo, il clima farà 100 mila morti l'anno in Europa, se non verranno adottate misure per contrastare l’inquinamento. C'è un'impellente necessità di fare presto. A partire dalla Conferenza sul Clima di Parigi. I cittadini si chiedono quando si cominceranno a vedere i primi risultati. La nostra generazione di certo non ne gioverà. Forse i nostri figli o nipoti saranno i beneficiari prossimi. Ma la notizia della NASA che il buco dell'ozono, dal 2005, si è ridotto del 20%, ci dice che basta la buona volontà e nulla è ineluttabile".

Roberto Roveda
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