Bisogna spingersi fino all'Antica Roma per ritrovare l’origine del termine addiction, dal latino addictus, ossia lo schiavo o il servitore che diveniva tale per il mancato pagamento di un debito. Una condizione, questa, che durava fino alla completa estinzione dell’obbligo.

La dipendenza dunque ci rende schiavi di qualcosa, ma se nell'ambito di sostanze quali alcool, fumo e droga gli effetti nocivi sono noti, un po' meno lo sono quelli della cosiddetta love addiction o dipendenza affettiva.

"Nuoce gravemente alla salute", in questo caso non a quella del corpo ma a quella dell'anima. Chi ne soffre è convinto di essere molto fragile e incapace di farcela da solo, per questo emerge la necessità e il bisogno di appoggiarsi a qualcuno per dare un senso alla propria esistenza.

Nella relazione di coppia questo innesca dei meccanismi spesso sottovalutati nella fase iniziale del rapporto, ma che possono condurre il soggetto a una forte sofferenza. Perché così tante donne, spesso affermate e stimate, cadono vittime di questo male? Come è possibile uscirne?

Lo spiega a L'Unione Sarda Maria Chiara Gritti, psicologa di Bergamo, specializzata in psicoterapia sistemica relazionale, che da diversi anni tiene un blog sulla dipendenza affettiva, organizza percorsi di gruppo dedicate alle donne che ne soffrono e che, nel 2017, ha pubblicato un libro "La principessa che aveva fame d’amore" (Sperling & Kupfer) che - in maniera originale - affronta tale disagio.

Chi è la protagonista di questa favola?

“Arabella, e vuole rappresentare tutte le donne incontrate nel mio percorso di psicoterapia che soffrono di un malessere chiamato dipendenza affettiva. Attraverso le sue avventure, l’obiettivo è quello di aiutare il lettore ad identificarsi, a capire perché insorge questo disagio, come si sviluppa, ma soprattutto quale può essere la via d’uscita per trovare un modo adeguato di amare”.

Cos’è di preciso la dipendenza affettiva?

“È una modalità malsana di amare nella quale l’individuo, di solito la donna, cerca di risolvere tutti i suoi vuoti interiori e i suoi problemi attraverso la relazione con l’altro, investendolo eccessivamente di aspettative e di speranze. Il risultato è un rapporto completamente squilibrato. Tutte le energie della dipendente affettiva si concentrano sul mantenimento della relazione. Quest’assoluta dedizione verso l’altro, porta a perdere interesse per tutto ciò che non riguarda il suo oggetto d’amore e a chiudersi dentro il rapporto di coppia, annullandosi”.

Come suggerisce il titolo del suo libro, si tratta di una patologia che interessa in particolare le donne. Il genere maschile ne è esente?

“Nella maggior parte dei casi sono le donne a soffrirne di più, ma recentemente, il numero di uomini che soffrono di questo disagio è in aumento. Non a caso, quando ho pubblicato questo libro, i primi a contattarmi sono stati proprio gli uomini”.

C’è una correlazione tra dipendenza affettiva e i casi di femminicidi riportati dalle cronache?

“Non proprio. I femminicidi hanno a che fare con problematiche che possiamo definire più gravi; le donne che scelgono uomini violenti hanno alle spalle storie di maltrattamenti, di abusi. Quello che invece può manifestarsi nella dipendenza affettiva è un abuso più sottile, psicologico, una manipolazione piuttosto che un’aggressione fisica”.

Brave, belle e obbedienti: questo è l’unico modo per essere amate?

“Assolutamente no. Quando nel libro descrivo Arabella che impasta il pane della brava bambina, faccio riferimento a un concetto molto importante: le donne imparano fin dalla più tenera età una cosa sbagliata sull’amore, cioè che va conquistato, che non è qualcosa di gratuito che arriva semplicemente perché sono delle persone. Sono donne “digiune” di affetto, attenzioni e amore, mancanze che si sviluppano all’interno della famiglia e che la donna cerca di colmare utilizzando strategie per farsi amare, come quella di essere una brava bambina. In età adulta, la dipendente affettiva replicherà lo stesso copione: si occuperà dell’altro, presterà attenzione alle esigenze dell’altro, illudendosi che così facendo non verrà abbandonata: ‘Mi occupo di te e per questo spero che tu non mi lascerai’, ma non funziona”.

La fame d'amore si sviluppa soprattutto nell'infanzia: cosa possono fare i genitori sull’aspetto emotivo dei propri figli?

“Senza colpevolizzare i genitori che, focalizzati sulle proprie sofferenze, a volte non trovano le risorse per occuparsi dei propri figli, credo che la cosa più importante da parte loro sia la dedizione. Quello che manca, che io ricostruisco sempre nella storia del dipendente affettivo è proprio questa attenzione ad andare più in profondità. I genitori non devono fermarsi al ‘va bene a scuola o non ha particolari problemi’, perché a volte dietro questa faccia da bravo si nasconde un bisogno di essere visto e di accondiscendenza. Andate in profondità, chiedete ai vostri figli se stanno bene, se gli manca qualcosa, costruite con loro un dialogo chiedendo del loro mondo”.

Maria Chiara Gritti e la copertina del suo libro
Maria Chiara Gritti e la copertina del suo libro
Maria Chiara Gritti e la copertina del suo libro

Nel suo viaggio alla ricerca di se stessa, Arabella ha due compagni: la Bussola e il Vuoto.

“La Bussola rappresenta un concetto molto importante che è quello della fiducia. Fiducia in se stesse, nella propria voce interiore, che spesso viene sovrastata dalla paura, dalla solitudine, dal Vuoto che non ci permette di affidarci alla nostra bussola interiore. Il primo passo che una donna deve compiere per non lasciarsi ingannare da falsi nutrimenti è quello di prendersi cura del suo vuoto, affidandosi a qualcuno che sia in grado di spiegarle come sfamare il suo bisogno d’affetto e guidandola alla scoperta della sua bussola”.

Che tipo di donna si affida a lei attraverso la terapia?

“Sono donne straordinarie per quanto sono intelligenti, acute, empatiche, spesso realizzate professionalmente, competenti, ma che non riescono a calare queste qualità verso loro stesse. Non hanno mai utilizzato le loro doti per valorizzare e credere in se stesse, ma le hanno messe a disposizione dell’altro. Inizieranno a stare meglio solo quando impareranno a occuparsi di sé”.

Perché la scelta della favola come genere letterario per affrontare l'argomento?

“Non mi andava di rappresentare questo tema in una forma manualistica, di manuali ce ne sono già tanti. La favola permette di pensare bene a tutte le sventure, i disagi della propria vita, ma soprattutto di scegliere il finale che si desidera. Ma anche per un altro motivo: quando leggiamo una favola, le nostre difese si abbassano e si attiva il bambino interiore che c’è dentro di noi. E lì che dobbiamo arrivare”.

Cosa accade se non si riesce a interrompere questo circolo malato?

“Il rischio è quello di sviluppare dei veri e propri sintomi depressivi, ansiosi, di logorarsi, di essere infelici, insoddisfatte. Quando si continua a dare energia all’interno di un rapporto malsano, c’è un esaurimento delle proprie risorse che può portare a conseguenze molto gravi sia per la salute emotiva, che per quella fisica”.

I social network hanno accresciuto questo disagio?

“I social e le varie applicazioni d’incontri online, da un lato hanno reso la conoscenza molto più facile, dall’altro possono essere pericolosi per una dipendente affettiva. Spinte dalla bramosia di riempire il vuoto, una donna può essere più facilmente adescabile e quindi non darsi il vero tempo di valutare. Può idealizzare la persona che sente in chat. Lo vedo nelle mie pazienti: facilmente riescono a incontrare qualcuno, poi ovviamente per la loro fame d’amore non si danno il tempo di valutare e cadono più facilmente in certe manipolazioni, piuttosto che in persone non adeguate. Anche il controllo che si può esercitare attraverso le chat amplifica le insicurezze e le ansie delle dipendenti affettive”.

Come può una donna imparare a 'nutrire' se stessa?

“Innanzitutto dedicandosi a lei. Uno degli aspetti principali di queste pazienti è che hanno poco conoscenza di chi sono realmente, di quali sono i loro bisogni, di cosa vogliono, di cosa desiderano, c’è sempre la paura in primo piano. La terapia è molto importante perché permette alla dipendente di fermarsi da questo incalzare delle loro vite trascorse inseguendo l’altro. Come spiego nel libro, il cuore della terapia è racchiuso nella capacità - che Arabella trova ad un certo punto - di prendere contatto con il suo cuore, di cercare di capire che cosa domanda questo vuoto, come vuole essere colmato. Quando la dipendente affettiva inizia a sperimentare che è in grado di darsi delle gratificazioni anche in autonomia, pian piano la sua autostima comincia a rinforzarsi e diventa meno dipendente dall'appagamento di un rapporto di coppia. Si tratta di un passaggio sicuramente non semplice, ma possibile”.

Simona Arthemalle

(Unioneonline)
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